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distruggendo spesso anni di duro lavoro terapeutico. I neuroscienziati ci dicono che bastano solo 12 millesimi di secondo affinché la paura si manifesti. A questo punto giocano un ruolo fondamentale tutti gli organi di senso che devono qualificare l’oggetto o la situazione che genera la paura e lo cataloghino in modo adeguato. Il secondo processo, più lento, si aggira intorno ai 40 millesimi di secondo e dopo le dovute classificazioni sulla base delle esperienze acquisite dice al nostro cervello se dobbiamo avere paura o no. Com’è ben comprensibile, in questa situazione, la memorizzazione degli eventi e degli stimoli che possono provocare la paura gioca un ruolo fondamentale. E anche in questo caso le vie sono due: la prima legata alle esperienze attraverso ricordi coscienti, la seconda, fuori dalla coscienza, che controlla i comportamenti senza una vera e propria consapevolezza di come siano stati appresi. I primi ricordi possono essere descritti, i secondi sono impliciti e difficilmente descrivibili. In entrambi i casi è fondamentale tenere ben presenti tutti i processi di apprendimento, sia quelli istintivi che quelli “mediati”. Nel primo caso, fin da bambino l’uomo si spinge a imparare per processi diretti, immagazzinando “sulla sua pelle” ciò che gli piace da ciò che può danneggiarlo. Innegabile che con questi processi di apprendimento comincino anche alcune paure, soprattutto dell’ignoto. Le paure aumentano con i processi “mediati” dove l’adulto insegna al bambino di cosa avere paura e di cosa non averla. Se in molti casi alcune paure possono essere motivate, in altri si rivelano “personali” e non è detto che debbano essere comuni. Se per esempio un adulto teme i serpenti non è detto che il bambino debba provare la stessa paura: difficile spiegare in questi casi la differenza tra mostrare “attenzione” e provare “paura” vera e propria. Da adulti, la paura, è un’esperienza che si sperimenta nella quotidianità. Spesso è il campanello di allarme che segnala un pericolo da evitare, ma è anche vista come un evento da rifuggire a priori non considerando il fatto che, in molti casi, l’avere paura significa sapersi ritrarre dal pericolo al momento opportuno. Il mondo della psicosomatica indica le varie paure come un percorso complesso che aiuta le persone a relazionarsi con ambienti, persone, oggetti e situazioni e, attraverso la selezioni di informazioni/ esperienze, contenere i rischi. Ciò vale per circostanze manifeste come guerre o incontri pericolosi, ma anche per decisioni importanti da prendere soprattutto quando le conseguenze del proprio agire possono determinare effetti importanti. Per questo imparare a conoscere le proprie paure è fondamentale e determinante nella creazione del coraggio e soprattutto del senso di responsabilità personale e di gruppo. Sempre grazie a questo processo di conoscenza è possibile variare il “metro della paura” sulla base della nostra capacità di assuefazione: per esempio un militare in battaglia ha paura, ma è stato addestrato a contenerla, gestirla e utilizzarla come “molla di reazione” per salvaguardare la propria sopravvivenza. Allo stesso modo, per esempio un chirurgo alle prime armi ha paura di commettere errori e perdere il paziente: in
una prima fase è proprio la paura a permettergli di elevare il grado di attenzione, ma quando subentra l’esperienza sarà questa a modulare il grado di paura pur mantenendo l’attenzione molto alta. Secondo i neuroscienziati e la psicosomatica, i metri di misura dei gradi di paura, attraverso la consapevolezza e l’esperienza, si basano su cinque aspetti. È attraverso questi cinque aspetti che la persona fa una valutazione della minaccia che sta subendo, dimostrando nuovamente che non è tanto importante l’evento in sé che si sta vivendo, ma l’autovalutazione che la persona dà all’evento stesso nel momento in cui si manifesta.
Il primo grado è la “novità dell’evento”: significa sperimentare per la prima volta una determinata sensazione senza conoscere le conseguenze del nostro operato. Se in montagna dovessi incontrare una vipera pronta ad attaccarmi come potrei reagire? Fuga? Reazione di attacco/difesa? Blocco totale? Le reazioni possono essere infinite e non sempre si possono verificare sulla base degli insegnamenti ricevuti (non è da tutti i giorni incontrare una vipera). Un secondo aspetto è comprendere se l’evento è “piacevole” o “spiacevole”: l’organismo valuta se tale esperienza che sta vivendo è in realtà piacevole o no e, deducendone le normali conseguenze, stabilisce la reazione da attuare.
Il terzo aspetto è legato “all’utilità dell’esperienza” rispetto ai propri fabbisogni generali: ciò che la persona prova in quel momento viene vagliata come un’esperienza utile oppure no, se aiuta o meno a raggiungere gli scopi prefissati o se, al contrario, allontana o ne complica il percorso. Quarto aspetto è quello della “gestibilità dell’esperienza” e la capacità o facilità della persona a gestire la situazione stessa. Più che negli altri quattro gradi, qui è l’esperienza precedentemente acquisita a farla da padrona e ad indicare alla persona stessa se sarà più o meno in grado di superare quella prova.
L’ultimo grado è quello “sociale”, inteso come insieme di norme, principi, credenze e aspetti culturali: molte esperienze e i relativi pericoli insiti in esse vengono allontanati o addirittura evitati proprio sulla base di norme comportamentali acquisite, o, al contrario, ricercati per appagare nella persona il gusto della novità o del proibito. Che si tratta di qualcosa di innato, razionale o inconscio tutti dobbiamo fare i conti con la paura ed è proprio attraverso questa esperienza che l’uomo può crescere interiormente pianificando e attivando strategie atte a superare o gestirla. Non riconoscere le proprie paure è spesso un problema così come volerle evitare e non volerle superare. Soprattutto perché, tenendo conto degli insegnamenti dei maestri orientali di riflessologia, queste paure creano notevoli blocchi soprattutto nelle zone renali, e dell’apparato uro-genitale in genere.
Paure e sistema urinario
Quando le paure di affrontare la vita si scontrano con le nostre convinzioni profonde di come dovrebbe essere vissuta la nostra esistenza si creano tensioni inimmaginabili. La psicosomatica ci insegna che in queste situazioni sorgono malattie molto resistenti che, nel lungo periodo, provocano danni indelebili.
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA inverno 2016

