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Il rapporto che abbiamo con l’alimentazione è fondamentale e non solo quella effettiva, ma anche quella mentale. Ciò che riceviamo, sia esso cibo o informazioni, si riflette in modo diretto con il nostro essere e il nostro dare. La selezione è quindi fondamentale e l’elaborazione mentale che siamo chiamati a dirigere impone una grande capacità a ricercare l’essenziale.
Il senso del dominio, del controllo, del possesso spesso ci spingono a coltivare uno spirito fagocitatore. E quando lo stomaco è troppo pieno, così come la vita diventa troppo fagocitante, il sistema si blocca impedendoci di digerire la vita.
La riflessione in eccesso è questo bolo che blocca la digestione impedendoci di essere ciò per cui siamo stati creati: terra e polvere, ma che deve volare al cielo con leggerezza.
Già nel ‘500, il medico naturalista e filosofo Paracelso paragonava lo stomaco a un laboratorio alchemico che doveva trarre dagli elementi grezzi della natura la “quintessenza”; scopo dello stomaco quindi è quello di bruciare il cibo e trasformarlo in “essenza” necessaria alla vita.
Il cibo non è mai separato dal contesto in cui viene assunto: un pasto con persone sgradevoli o che non sopportiamo può divenire indigesto, al contrario se vissuto in contesti amichevoli e conviviali lascia un bel ricordo oltre a una digestione più facile.
Gli alimenti veicolano nel nostro stomaco le emozioni e i sentimenti a cui sono associati: se lo stomaco si ammala è importante dar inizio a delle riflessioni non solo sulla qualità del cibo, ma soprattutto sulla qualità del nostro nutrimento emotivo. Ciò significa sotto il profilo psicosomatico saper allontanare persone indigeste, pesanti e valutare con chi e quando relazionarsi.
Le ulcere, in psicosomatica sono proprio questo: inghiottire ciò che non ci va.
Alla fame e al cibo sono legati molti aspetti: se eccessiva è sinonimo di bramosia, se ingorda, secondo gli psicologi, segnala carenze affettive. Nutrirsi è porsi in diretta relazione con chi ci fornisce il cibo: non a caso l’assonanza pappa con papà.
La funzione alimentare, necessaria per vivere è un processo fondamentale attraverso il quale l’essere vivente si appropria di parti del mondo esterno per trasformarle e utilizzarle per sé.
Ma lo stomaco ci segnala anche con la sua acidità quando siamo troppo presi dal fare e non lasciamo che i normali processi vengano realizzati secondo i tempi previsti. Questo porta di solito ad aggressività repressa e sfocia in scatti di collera soprattutto in relazione a quelle situazioni che si è “costretti a ingoiare”.
Come sempre il nostro corpo non mente e spetta solo a noi riuscire a captarne i segnali. Il riflessologo può solo intervenire per ri-energizzare e cercare di riportare ai giusti equilibri i vari stati, ma il grosso del lavoro va fatto a monte con un
processo pedagogico di piena consapevolezza e di profonda necessità di conoscere bene se stessi.
Quella terribile abitudine di rimuginare la vita
“Nessun pensiero è contento di sé”, (Shakespeare)
Perché continuo a pensarci?
Perché forse troverò una soluzione
Perché penso che i dettagli delle cose siano importanti
Perché forse capirò come non ripetere gli sbagli Perché sono una persona responsabile
Queste sono le risposte che spesso le persone danno. Per molte è una tendenza acquisita. Ma da dove ha origine questa tendenza? Sembrano persone “normali” con vite comuni e con pensieri, preoccupazioni che tutti abbiamo, ma per loro non è così.
Gli psicologi sostengono che le persone che soffrono di inquietudine cronica abbiano subito dei traumi soprattutto nell’infanzia: spesso si parla di minacce fisiche o psicologiche per esempio per essere più bravi a scuola o arrivare primi in una gara. Da adulti si diventa consapevoli che non esistono più queste minacce, ma c’è la necessità di evitare di pensarle, per cui queste persone impegnano la loro mente e la loro anima con pensieri ossessivi focalizzando la loro attenzione su piccoli dettagli o ingigantendo i problemi.
Molte persone che si dedicano all’eccesso di riflessione hanno avuto dei genitori inquieti o iperprotettivi e quindi, per imitazione, siano diventati loro stessi un clone genitoriale producendo un continuo senso di frustrazione e inadeguatezza al mondo esterno e soprattutto paura e indecisione costanti.
A volte succede che le persone con eccesso di riflessione abbiano avuto loro stessi dei genitori che condividevano troppo i loro problemi trattando il bambino “alla pari”, soprattutto per decisioni che non erano in grado di prendere, ma che di sicuro non erano all’altezza del bambino stesso. Secondo gli psicologi dell’età evolutiva attribuire un ruolo genitoriale a un bambino significa produrre, in seguito, nell’adulto la necessità di affetto, di attenzione continua e soprattutto di amore profondo e disinteressato.
Anche la non considerazione delle emozioni può generare pensieri ossessivi e riflessione continua perché l’idea generale che viene a crearsi è che non vanno mai provate emozioni soprattutto perché gli altri non sono in grado di comprenderle.
Anche l’insicurezza personale, spesso generata da uno scarso senso di fiducia negli altri produce riflessione continua soprattutto quando la persona deve potersi sentire sicura di scegliere e anche di sbagliare: è sull’errore che, in effetti, si costruisce un piano di crescita, consapevolezza e miglioramento continuo.
Altro aspetto dei “riflessivi all’eccesso” è la vergogna per il giudizio degli altri soprattutto nel
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DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2015

