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come il gioire, serva da una parte per anestetizzarsi da tutto e, dall’altra, per essere irreprensibili. Se si reprime un’emozione come la gioia è possibile perciò avanzare indefessamente verso qualsiasi obiettivo senza porsi limiti, scavalcando anche i valori della vita stessa, ma producendo insoddisfazione continua e frustrazione.
Saper gioire in modo autentico è qualcosa che parte veramente dal cuore. È un processo ermeneutico ed educativo che va affrontato fin dall’infanzia.
I greci chiamavano questo processo eudaimonia che significa avere un buon demone protettore, dal quale dipendeva una vita prospera di sentimenti, relazioni e affetti profondi; la base insomma per la gioia autentica.
Sempre per i greci felicità e gioia erano legate alle arete, ciò che noi tradurremmo con virtù. Purtroppo un altro termine desueto nella nostra società, ma che ci fa capire come per gioire di cuore servano virtù profonde e uno spirito ben disposto a lasciare fuori dalla porta astio, rancori, inimicizie e soprattutto pregiudizi.
Non solo questione di cuore: l’intestino tenue
“Voglio solo reazioni reali: Voglio che la gente rida dall’intestino, sia triste dall’intestino o si arrabbi dall’intestino” (Andy Kaufman).
Secondo gli insegnamenti della medicina tradizionale il viscere collegato al cuore è l’intestino tenue. Apparentemente, ad un occidentale, questo abbinamento potrebbe sembrare assai bizzarro: di certo non lo è per un orientale.
Chi pratica arti marziali giapponesi sa bene che il centro delle energie vitali è il KI, collocato all’altezza dell’ombelico (con piccole variazioni a seconda di scuole e tradizioni).
Gli antichi samurai partivano da questo punto prima di sguainare le loro micidiali spade e ritenevano che il momento dell’impatto e del taglio fosse quello in cui l’energia generata dal Ki raggiungeva la punta della lama.
La passione del cuore risiede nell’intestino ed è da lì che va spostata nel resto del corpo come è da lì che parte ogni movimento. In questa visione energetica è facile capire come sia legata all’intestino tenue tutta una serie di scompensi: secondo la riflessologia attraverso l’intestino tenue assimiliamo non solo il cibo, ma le esperienze. Se abbiamo difficoltà ad assimilare le esperienze delle vita, i blocchi energetici produrranno segnali quali diarrea, ulcera.
La lunghezza dell’intestino tenute (circa sei metri) è indicativa di come ogni esperienza debba seguire un lungo percorso per essere compresa, evidenziata e soprattutto sintetizzata. Nella sua opera di smistamento è importante sotto il profilo energetico, saper secernere e memorizzare lasciando che il resto del tragitto vada a espellere ciò che è inutile e che non vale la pena trattenere. Insomma ogni “mal di pancia” altro non è che la reazione a qualcosa che non vogliamo dentro di noi, ma di cui non riusciamo a farcene una ragione.
Questione di pancia?
“Come ci sono i pensieri talmente ossessivi che se restano nella tua testa ti possono fare impazzire, così ci sono dei sentimenti talmente strazianti che se li tieni dentro ti si apre la pancia. Allora, se sei flessibile, la tua pancia diventa una specie di magazzino, dal quale entrano ed escono continuamente dei sentimenti”. (Paolo Nori)
Dobbiamo fare prevalere il nostro istinto, quello che i nostri visceri più profondi ci dicono o dobbiamo usare sempre la ragione? Proprio un bel dilemma al quale non esiste risposta.
I riflessologi sono convinti che le emozioni non vadano mai bloccate e quindi verrebbe spontaneo rispondere che “i nostri visceri” non mentono. L’approccio più meccanicistico, razionale e meno emotivo va utilizzato per affrontare aspetti più tecnici. Un’altra risposta interessante viene dal mondo olistico dove potremmo trovare un’ottima mediazione.
Tra risposte “di pancia” e risposte “di testa” potremmo imparare a gestire le situazioni con una “meditazione consapevole”.
Per riuscire a questo fare dobbiamo però espellere molto di ciò che è dentro di noi che ci rende sempre irrisolti o alla costante ricerca della novità sia per il nostro miglioramento sia per il gusto della sfida. L’intestino tenue ci insegna a cogliere i segnali più profondi del nostro io, ma anche a saper aspettare, a limitarne gli eccessi, a cogliere la loro essenza e solo alla fine a realizzarne aspetti pratici.
Serve un’azione disinquinante che sappia, proprio come fa l’intestino separare ciò che serve da ciò che è inutile o dannoso: equilibrare sempre.
Dentro di noi, proprio nell’intestino secondo molte culture tribali, risiedono energie antiche; sono energie che ci insegnano a reagire con immediatezza agli eventi pericolosi e a spingerci in azioni che con la ragione non compiremmo mai.
Veniamo sviluppati in un grembo, il luogo più vicino a questo centro vitale e il nostro stesso ombelico segna perfettamente il centro di questo spazio.
Per questa ragione, sotto il profilo antropologico, la parte più profonda dei nostri visceri è un luogo del cuore: le passioni più profonde si sviluppano lì, l’energia le alimenta, il cuore attraverso il sangue le diffonde.
Non è quindi solo una questione “di pancia”, ma qualcosa di più intimo che ci collega e ri-collega sempre al motivo per cui siamo al mondo e allo scopo che ci assumiamo ogni volta che prendiamo una qualsivoglia decisione.
Il vaso di Pandora
“Qualche volta purtroppo occorre finire pancia a terra per capire chi realmente siamo e che cosa realmente vogliamo; e non ci è dato rialzarci finché non tocchiamo il fondo”. (Ava Moore).
In antropologia il vaso rappresenta il grembo. La sua forma richiama quello della pancia di qualsivoglia uomo o donna e per quanto elaborato,
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