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un’anima carica di astio, rabbia, rancori o dedita al male verso gli altri.
La “Misogi” quotidiana che necessita la nostra epoca è il saper riconoscere i momenti di gioia autentica e porli come il saggio come giada nel petto. Dove? Naturalmente vicino al cuore. Reprimerli produrrebbe semplicemente blocchi energetici creando disagio e, sempre secondo i taoisti, portando il corpo ad ammalarsi.
Mal di cuore
“Il cuore ha le sue prigioni che l’intelligenza non apre”, (Marcel Jouhandendeau)
Secondo i maestri di riflessologia i disagi connessi al cuore sono legati alle difficoltà a gestire la gioia e alla mancanza di controllo delle emozioni lasciando che prendano il sopravvento nelle varie situazioni. Spesso le persone cercano di scaricare le tensioni utilizzando lo sport o altre discipline come valvola di scarico. Secondo i maestri di riflessologia queste persone sono potenziali “malati di cuore” perché non sanno tenere nella giusta considerazione le gioie della vita, tralasciano la possibilità di prendersi del tempo per se stessi e dimostrando in questo modo di amarsi poco.
Per capire quanto questo possa essere energeticamente dannoso basta pensare che il cuore pompa il sangue in tutto il corpo trasportando queste negatività a visceri, organi ecc.
Il segreto sta insomma nell’imparare a volersi bene non solo come fine, ma anche come logica da condividere e diffondere, proprio perché se non ci si ama è pressoché impossibile amare gli altri. Prendersi cura della propria gioia e delle proprie gioie spirituali è la prima via per qualsiasi stato di benessere.
Gli antichi samurai esprimevano questo concetto con questa riflessione “Vivere la vita in ogni respiro, in ogni tazza di tè, in ogni vita che prendiamo...”.
Trovare il tempo per gioire
“Il dolore è breve, ma la gioia è eterna”. (Shiller)
Mi sono reso conto di come sul mercato esistano tanti manuali di vario genere che hanno lo scopo di aiutare a raggiungere la gioia: sembra quasi che per gioire di qualcosa si debba frequentare un corso o seguire un percorso particolare.
La vera gioia, invece, è spontanea e nella sua autenticità dovrebbe essere l’emozione capace di guidare e motivare maggiormente la nostra esistenza. Il fatto che la si collochi su un piano più spirituale che materiale fa riflettere: non è ciò che si possiede, ma come lo si possiede a fare la grande differenza. Per raggiungere questa consapevolezza serve tempo e dedizione e soprattutto la ferma consapevolezza che non siamo ciò che possediamo, ma dobbiamo possedere la libertà di scegliere.
La nostra mente è sempre sollecitata ad ottenere di più e a costruire continuamente per accumulare. Le persone gioiose, se ben guardiamo, sono quelle che anziché addizionare
sanno sottrarre, ridurre all’essenziale, pensare a ciò che realmente serve e sceglierlo senza farsene dominare. La gioia insomma è uno stato mentale più profondo che va lasciato fluire grazie ai piccoli dettagli, partendo proprio dal tempo da dedicargli. Sembra assurdo, ma pochi coltivano la gioia: la si aspetta, la si cerca di costruire, ma non la si vive. E in questo processo la si perde perché terrorizzati dalla mancanza di tempo e dal fare. Una volta un monaco benedettino mi ha raccontato di come riuscisse a vivere costantemente nella gioia solo perché si concedeva il tempo di vedere ciò che accadeva intorno a lui, anche negli eventi negativi dove riusciva sempre a ritrovare l’essenza delle cose autentiche e quindi a gioirne.
Il tempo forse è il peggior nemico della gioia perché ci impedisce di vivere il momento presente con tutti i suoi frutti; invece siamo impegnati in una semina costante di cui non sappiamo quando raccoglieremo. I maestri taoisti insegnano che le energie dell’esistenza sono tutte lì, a nostra completa disposizione ed è solo la nostra incapacità che non ci permette di raccoglierle ed utilizzarle, condividerle e diffonderle. La prova di tutto ciò è che non riusciamo a ritagliarci del tempo per noi stessi: lasciamo che i doveri ci opprimano oppure, al contrario, facciamo in modo che la nostra irresponsabilità ci imponga sempre di cercare scuse per tutto. E, nel frattempo, la gioia viene repressa facendoci solo intravedere, come diceva una canzone di qualche anno fa, una vita difficile, pochi attimi di felicità e un futuro incerto.
Gioire di cuore
“La gioia non consiste negli armenti e neppure nell’oro: l’anima è la dimora della nostra sorte” (Democrito).
Uno dei mali maggiori dell’uomo d’oggi è l’illimitata ricerca dei beni materiali come surrogato della gioia autentica.
Molti filosofi sono concordi nel dire che oggi si tende molto ad evitare l’uso comune di termini quali “gioia” o “felicità” proprio perché sono state portate dal piano spirituale e più profondo a quello materiale e fisico. Dopo aver sperimentato il benessere materiale, pochi o nessuno sono disposti a rinunciarvi e, nonostante ci rendiamo conto di come questo ci renda sempre più schiavi del benessere stesso, non riusciamo a uscire da questo circolo vizioso.
Un altro fattore sociologico che spesso emerge nelle ricerche è che dal momento in cui il lavoro si è trasformato da mezzo a fine anche il rapporto con la gioia si è notevolmente incrinato.
La repressione della gioia porta con sé motivazioni profonde: non volendo soffrire, non accettando le prove della vita e non volendo misurarci con le infelicità, le persone hanno smesso di volere vedere le gioie autentiche tra le pagine nere della loro vita.
Una reazione automatica al male? I riflessologi sono convinti non sia così, ma che la ferma e convinta deprivazione di uno stato importante,
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DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2015


































































































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