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che vale quale condizione di possibilità dell'esperienza e, quindi, della stessa conoscenza dell'oggetto. Va ribadito che quest'ultimo, per quanto risulti vincolato, mantiene comunque una qualche identità distinta dal soggetto, così che non lo si può considerare una sua “creazione”. Per questa ragione, del resto, anche se il sistema di riferimento del soggetto ha valore costitutivo dell'oggetto, non si darà una teoria totalmente in grado di inglobarlo, in modo tale che il momento della relativa indipendenza di soggetto e oggetto costituisce, al tempo stesso, la ragione dello scarto che permane tra la teoria e l’oggetto da essa descritto nonché dell'impossibilità di assumere come oggettivo (reale) ciò che, in quanto solo relativamente indipendente, è un mero fenomeno.
Se la relazione funge da condizione fondamentale che, nel vincolare il soggetto e l’oggetto, costituisce la stessa struttura dell’esperienza e del conoscere, allora si dovrà sempre tenere a mente che ogni forma del conoscere non può non poggiare su questa medesima struttura. Che equivale a dire: la relazione, fungendo da struttura fondamentale, si ripropone in ogni forma particolare del conoscere, anche se immediatamente non appare.
Quali conseguenze comporta questa consapevolezza? La prima conseguenza è che l'oggetto del conoscere risulta esso stesso una relazione, e ciò in un duplice senso. Da un lato ogni oggetto si costituisce come tale in forza del riferimento alla differenza che è esterna ad esso; dall’altro, ogni oggetto è in sé relazione, ossia si costituisce come insieme di elementi, così che la differenza è intrinseca alla sua stessa identità. Si potrebbe così affermare che la primitiva relazione di soggetto e oggetto tende a reduplicarsi, nell'oggetto, come relazione inter-oggettiva (intercorrente tra oggetti) e come relazione intra- oggettiva (appartenente alla intrinseca costituzione di ciascuno).
Per quale ragione non può non porsi la relazione inter-oggettiva? La ragione è già stata indicata: senza il riferimento agli altri oggetti, nessun oggetto potrebbe porsi in forma determinata. Il limite, cioè la relazione, è ciò che consente la posizione determinata di ciascun oggetto, perché solo in forza del limite l'oggetto si configura come una identità.
A sua volta, ogni oggetto determinato (ogni “A”) si costituisce in forza di una relazione intrinseca, una relazione intra-oggettiva, che consente di assumerlo come una totalità di parti, come un insieme di elementi, i quali possono venire ottenuti mediante l'operazione dello sciogliere la relazione intra-oggettiva, secondo le modalità proprie dell’analisi.
10. Relazione sensibile e relazione concettuale
Il discorso svolto sul concetto di relazione ci consente di ricapitolare quanto fin qui affermato. La prima forma di relazione, mediante la quale si struttura il mondo degli oggetti, è quella che potremmo definire, secondo l'insegnamento kantiano, “sensibile”. Kant parlava di a priori della sensibilità e li individuava nelle forme di spazio e tempo. Tali forme, in effetti, possono venire
essenzializzate nella relazione di coesistenza e nella relazione di successione: la relazione di coesistenza indica la relazione spaziale, cioè la compresenza di oggetti che, nel medesimo tempo, occupano spazi diversi; la relazione di successione indica che oggetti, in tempi successivi, occupano il medesimo spazio.
L'una relazione si pone riferendosi all'altra, come è proprio di ogni relazione, in modo tale che è possibile connotare entrambe con l'espressione “relazione sensibile”, intendendo, appunto, la relazione spazio-temporale. Diciamo “sensibile” poiché essa costituisce la condizione che consente all’oggetto di configurarsi come oggetto sensibile, ossia come il corrispettivo del sistema percettivo- sensibile del soggetto. Senza la collocazione nello spazio e nel tempo, infatti, l'oggetto non potrebbe venire percepito, anche se la percezione non si costituisce solo in forza di queste due forme.
Accanto alle forme della sensibilità, devono operare anche le forme dell'intelletto, come le definisce Kant, o “forme concettuali”, come potrebbero anche venire definite. La dualità di sensibilità e intelletto è essa stessa, del resto, espressione della struttura relazionale del conoscere, struttura che impone il continuo sdoppiarsi di ciò che, vincolandosi, tende a restituire una unità. E non è un caso, infatti, che le forme concettuali fondamentali siano proprio quelle di unità e dualità, là dove quest’ultima rappresenta la molteplicità in nuce.
L'esperienza si costituisce come un’unità molteplice, nella quale ciascun dato è una unità che si relaziona ad una molteplicità di altre unità, le quali sono, ciascuna in sé, una unità di molteplicità. Da questo punto di vista, le categorie di unità e di molteplicità sono sovrapponibili a quelle di identità e differenza, proprio in ragione del fatto che l'identità vale come unità con sé dell'identico e la differenza è, per sua natura, una dualità.
In effetti, sia la categoria di unità-identità sia la categoria di dualità-differenza meritano di venire questionate, poiché ad esse si dà, di fatto, un significato che nega il valore logico-concettuale che esse hanno di diritto. Su questa questione si dovrà opportunamente meditare.
Prima, però, intendiamo riflettere su un altro aspetto, e cioè quello per il quale ogni cosa può venire espressa mediante il linguaggio. Com'è noto, il linguaggio si configura come un insieme di segni che si riferiscono ad un insieme di significati. Anche il linguaggio, dunque, si costituisce in forza della relazione: la relazione sintattica, che vincola tra loro i segni; la relazione semantica, che vincola tra loro segno e significato; la relazione “reale”, che si dispone – o si presume che si disponga – tra i significati. Abbiamo già evidenziato che quella relazione, che si dispone tra gli oggetti dell'esperienza, è una relazione tra fenomeni, così che solo impropriamente può venire considerata reale, oggettiva.
Tuttavia, il senso comune tende ad assumere i fenomeni, che nel loro insieme costituiscono l'oggettuale, come l'autentica realtà, come l'oggettivo. È da rilevare, a questo proposito, che il senso comune si trova di fronte a questa situazione: da un lato deve assumere il significato come il referente oggettivo (reale) del segno; dall’altro, però,
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