Page 13 - Olos e Logos n°11
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e solo così è possibile assumere –, ma in effetti, dal punto di vista logico-concettuale, è la sua stessa determinatezza che impone la relazione e, dunque, impone di considerare l’identità solo in senso relativo: relativamente ad ogni altra identità, relativamente all’esigenza di assumere, relativamente all’esigenza di procedere, relativamente al punto di vista di chi assume, relativamente al contesto, relativamente alle premesse, ecc.
Per procedere non si può non assumere e per assumere non si può non astrarre. Questo è il limite di intelligibilità dell’ordine formale.
La relazione postula dunque la relativa indipendenza dei termini, ma la postula conciliabile con la loro relativa dipendenza. L’indipendenza è postulata perché i termini possano permanere due; la dipendenza è richiesta per il fatto che, se l’un termine non “agisce” sull’altro (non lo influenza), allora la relazione non si pone. Che è quanto dire: i termini devono differenziarsi, ma la condizione del loro differenziarsi è precisamente il nesso che li vincola, stante che la differenza è essa stessa una relazione; i termini, inoltre, devono relazionarsi, ma la condizione del loro connettersi è precisamente il loro mantenersi distinti, il loro essere irriducibili l’uno all’altro, stante che, solo se permangono due, la relazione può configurarsi come costrutto.
In sintesi e per quanto possa apparire paradossale: la relazione vincola perché distingue e distingue perché vincola. Questa è la problematicità intrinseca del suo status.
La dialettica di relativa indipendenza e relativa dipendenza dei termini costituisce la dinamicità propria della relazione, quella che le consente di valere come la spinta che genera ogni procedimento, teorico o pratico che sia. Non per niente, tanto l’esperienza quanto il conoscere si costituiscono come relazione di soggetto e oggetto, così che questi, ancorché intrinsecamente vincolati, non possono non mantenere una certa autonomia l’uno dall’altro.
V’è un punto che merita, però, di venire ulteriormente precisato: poiché il soggetto e l’oggetto sono irriducibili, essi devono configurare due forme diverse della medesima struttura. Essi, cioè, strutturalmente sono ciascuno il riferimento all’altro, ma la forma che esprime questo riferimento comune è diversa, e solo questa diversità formale evita che la loro reciprocità strutturale comporti la loro dissoluzione.
In che cosa consiste la differente forma del riferimento? Nel fatto che il soggetto ne costituisce il momento attivo e l’oggetto il momento passivo: il soggetto si riferisce, l’oggetto viene riferito. Quanto detto non può non comportare l’emergenza del soggetto sull’oggetto, per lo meno dal punto di vista del modo del riferimento.
Ebbene, a noi pare che proprio tale emergenza consenta di dire che il soggetto (o il sistema di riferimento che opera in lui) modella l’oggetto (il dato, il fatto), lo plasma, lo configura secondo le forme con cui ad esso si riferisce; fermo restando che non può non permanere un residuo irriducibile a parte obiecti, che impedisca il dissolversi di entrambi e della loro relazione.
L’indipendenza dell’oggetto, insomma, deve mantenersi, ma inscrivendosi nel suo dipendere
dal soggetto, laddove la dipendenza del soggetto si configura come il suo scontrarsi con la “resistenza dell’oggetto” ad ogni coglimento esaustivo e conclusivo.
In effetti, non tutti accetterebbero questa formulazione. E tuttavia è innegabile che le principali concezioni filosofiche, che hanno inteso descrivere il processo del conoscere, si sono caratterizzate per avere valorizzato in modi diversificati la dipendenza e l'indipendenza di soggetto e di oggetto.
Il realismo ingenuo valorizza a tal punto l'indipendenza dell'oggetto da considerarla assoluta, così che si caratterizza come il punto di vista che afferma la massima indipendenza dell'oggetto e la massima dipendenza del soggetto. Già la concezione empirista tende a considerare l'importanza della relazione, così che l'indipendenza dell'oggetto risulta sempre più relativa. Ci pare interessante sottolineare ancora come, a muovere dalla considerazione della relazione propria della concezione empirista, si sia pervenuti alla progressiva valorizzazione del soggetto, fino a che, con Berkeley, si sia approdati ad una posizione che non può non venire definita “idealista”.
Se il realismo ingenuo valorizza dunque l'indipendenza dell'oggetto, di contro l'idealismo tende ad evidenziare la dipendenza dell'oggetto e l'indipendenza del soggetto, fino ad un punto di massima dipendenza del primo e massima indipendenza del secondo: l'idealismo assoluto, nelle sue forme meno sofisticate, appare come l’assolutizzazione della soggettività, così che il soggetto sembra avere valore tetico, ponente l'oggetto. Diciamo “sembra” per la ragione che né Fichte né Schelling né Hegel hanno inteso parlare del soggetto empirico, ma questa è questione che ora non può venire approfondita.
Chi ha inteso evidenziare la relativa indipendenza dell'oggetto è stato Kant. Il concetto di noumeno, lo abbiamo già rilevato, non fa che di indicare, da un lato, l'impossibilità di considerare l'oggetto ordinario come in sé; dall’altro, l'impossibilità di dissolvere l'oggetto nel soggetto. Il concetto di noumeno dice che l’esperienza, e dunque la conoscenza – per Kant non a caso le due cose coincidono –, si conserva a condizione che permanga la relazione, dunque l'irriducibilità dei termini.
I termini sono irriducibili, nonostante siano intrinsecamente vincolati: questo è il punto di vista kantiano, che per un verso valorizza il ruolo della soggettività nella costituzione dell'esperienza (conoscenza), per altro verso evidenzia l'impossibilità di risolvere l'oggetto nel soggetto, poiché ciò equivarrebbe a negare proprio quella relazione che consente la posizione di entrambi.
La conoscenza, per Kant, è effettiva perché la realtà che viene conosciuta coincide con quell’oggetto che viene posto in essere dalle forme a priori del soggetto. Non si pone più, pertanto, il problema dell'attingimento di un'oggettività “altra”, e irrimediabilmente “altra”, dal soggetto: l'oggetto dell'esperienza è ormai un “fenomeno”, ossia un oggetto che il soggetto costituisce in forza delle proprie forme.
Ciò che ci preme rilevare è che la condizione che funge da a priori fondante è proprio la relazione,
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DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA autunno 2014

