Page 15 - Olos e Logos n°11
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esso deve considerare il significato come distinto dalla cosa reale, perché, in quanto viene “significato”, esso è ancora un momento del sistema semantico, laddove l'ente reale dovrebbe oltrepassare tale sistema, proprio per valere come reale.
Anche seguendo questa linea di ricerca, pertanto, ci si avvede che ciò che ordinariamente viene considerato un ente reale altro non è che un fenomeno, cioè un significato. L'intenzione è quella di far riferimento all'oggettivo, al reale, a ciò che è autonomo e autosufficiente, ma in conseguenza del fatto che questo “reale” viene determinato, esso cessa di valere come in sé ed entra a far parte del sistema posto in essere dalla relazione, quel sistema nel quale l'identità è tale soltanto per il suo differenziarsi dalla differenza.
A livello della realtà autentica, l'identità non può non costituire il fondamento, giacché essa vale come la condizione di pensabilità della stessa differenza. Affinché l’identità valga come condizione incondizionata, cioè come autentico fondamento, essa non può dunque porsi in forma determinata. Se, infatti, l’identità si pone in forma determinata, allora non può non vincolarsi alla differenza e, pertanto, subordinarsi ad essa. Con questa conseguenza: solo se assoluta l’identità è autentica o, detto con altre parole, solo l’assoluto costituisce un’autentica identità, dunque il fondamento.
Di contro, al livello della esperienza e del conoscere ordinari, l'identità si pone solo perché viene determinata, così che essa perde il suo valore di fondamento e decade a momento di quel circolo che dall'identità rinvia immediatamente alla differenza, e viceversa.
L'autentica realtà, cioè la realtà che valga quale autentico fondamento, non può venire espressa mediante le forme semantiche, dunque non può venire ridotta ai modi con cui la relazione la “dice”, dopo averla inglobata in sé. La relazione, ossia il discorso – non per niente l’espressione “relazione” ha anche il significato di “discorso” –, intende riferirsi al reale per poterlo riferire, ossia per poterlo esprimere nella sua verità; se non che, poiché riferirsi a qualcosa significa riportare (riferire) il qualcosa al proprio modo di riferirsi ad esso, il discorso (la relazione) non può riferirsi al reale se non riferendo il reale a se stesso, ossia se non riducendolo a forma semantica: le cose dell'esperienza comune si rivelano così dei meri “significati”.
Riconoscere che l'esperienza si configura come un “universo semantico” implica molte conseguenze. La prima è che la molteplicità degli universi semantici – cioè degli universi teorici di riferimento – fa essere una molteplicità di mondi, così che non è più possibile considerare uno di essi più reale degli altri. Anche se non esiste un mondo o un universo empirico che sia più reale, di fatto però ciascun soggetto considera reale il mondo che il suo sistema di riferimento teorico pone in essere e che egli tende a condividere con gli altri soggetti, così che ciò che normalmente viene assunto comeoggettivo risulta, in effetti, intersoggettivo. Mantiene, cioè, valenza soggettiva, anche se viene condiviso da un certo numero di soggetti, che, quando diventano “maggioranza”, impongono il loro mondo come l'unico possibile.
Il discorso, pertanto, non è un discorso sul mondo, ma è già in sé mondo o, che è lo stesso, il mondo è in sé undiscorso, e proprio per questa ragione può venire esplicitato mediante un discorso proferito, cioè mediante una serie di enunciati. L'enunciato, a sua volta, si struttura in forza della relazione, e ciò non solo perché si compone di segni che si riferiscono a significati, ma altresì perché si configura, almeno quando è un enunciato dichiarativo, nella forma di un giudizio.
La forma generale dell'enunciato dichiarativo è “S è p”, dove “S” indica un qualunque soggetto, “p” un qualunque predicato ed “è” indica la copula, ossia la congiunzione operata dal verbo “essere”. La copula, dunque, congiunge il soggetto al suo predicato, ossia vincola la cosa, presunta reale, alle proprietà che sono “sue” perché le appartengono. Come si vede, v’è perfetta corrispondenza – e la corrispondenza è ancora una relazione – tra cosa e giudizio. Il giudizio non fa che rendere palese la relazione che sussiste tra la cosa e le sue proprietà, in modo tale che l'ordine sintattico riproduce l'ordine che sussiste tra i significati.
La cosa, questo è il senso del nostro discorso, dovrebbe valere come cosa reale, cioè come fondamento. Che lo si sappia o meno, orientarsi nell’esperienza significa comunque cercare un fondamento. Un fondamento su cui erigere l’edificio dell’esistenza e del conoscere. Inizialmente, la realtà viene identificata con la cosa percepita: perché dubitare dei sensi, se quando vedo un oggetto poi posso anche afferrarlo e disporne nei modi e nelle forme che più mi aggradano? L’oggetto percepito diventa così la realtà oggettiva, quella di cui non ha senso dubitare.
Se non che, abbiamo a lungo insistito sull’impossibilità di pensare l’oggetto come indipendente dal soggetto e ciò impone la necessità di andare in cerca di un fondamento che si disponga ad un diverso livello di profondità. Poiché soggetto e oggetto sono realtà correlative, la relazione si impone, a questo livello di analisi, come il vero fondamento.
Tuttavia, anche la relazione esibisce un suo intrinseco limite di intelligibilità: essa è la contraddittoria conciliazione di unità e dualità, di identità e differenza, di indipendenza e di dipendenza dei termini.
Ciò impone di ricercare il fondamento ancora più in alto e per questa ragione abbiamo affermato che solo l’identità dell’assoluto è autentica identità, così che solo l’assoluto è autentico fondamento.
Ebbene, il “qi” altro non è che questa spinta alla ricerca del vero fondamento che anima la vita degli uomini e il processo del loro conoscere. La conoscenza, se è effettiva, non si accontenta di pervenire alla spiegazione dei fatti, ma cerca la ragione ultima del loro essere.
Non di meno, il passaggio dal livello della semplice percezione sensibile a quello della conoscenza concettuale è fondamentale. La conoscenza scientifica fa uso di un concetto ancora formale, perché lo intende come sintesi, dunque come relazione. Il “qi”, però, non si accontenta di un intero che sia ridotto ad un insieme, ad un composto di parti: il composto non può essere
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DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA autunno 2014

