Page 11 - Olos e Logos n°11
P. 11
per decisione soggettiva, non già per la sua intrinseca verità.
Lakatos, inoltre, accusa il falsificazionismo ingenuo di non avvedersi che, se una teoria non può venire verificata da fatti, altrettanto non può venire falsificata da essi in senso dogmati­co, giacché il fatto non è mai neutro, ma – si potrebbe dire, per usare una espressione teoretica – è “fatto essere” in una qualche misura da quel siste­ma teorico che lo rileva.
Chi porta alle estreme conseguenze questa consapevolezza è Feyerabend, il quale dichiara che il confronto non è mai tra una teoria e l'esperienza, ma sempre tra teorie rivali e il prevalere dell'una sull'altra è legato soprattutto al caso, cosicché lo sviluppo della scienza risulta “anarchico”. Una teoria prevale sull'altra non perché sia più vera, ma, al contrario, poiché prevale – e prevale per motivi contingenti – viene assunta come se fosse più vera.
Ciò che risulta acclarato, dunque, è quanto segue: i fatti sono intrinsecamente vincolati alle teorie, cosicché usare fatti per smentire teorie equivale, in un certo senso, a porre alcune teorie contro altre teorie. Basare la legittimazione di una teoria sull'osservazione fattuale è fare uso di un concetto debole di legittimazione o, detto altrimenti, è assumere il fatto come realtà oggettiva, ignorando la differenza – essenziale dal punto di vista logico-speculativo – che sussiste tra di essi.
Ciò che siamo in grado di cogliere della realtà oggettiva, va ribadito, è legato al nostro sistema di riferimento (dirilevamento), il quale assume così il significato di un filtro, di un paio di lenti che consentono di vedere solo ciò che, tautologicamente, consentono di vedere. Più teoreticamente, si potrebbe affermare che riferirsi all'esperienza significa riferire l'esperienza al proprio sistema di riferimento, così che modi e forme del riferimento strutturano l'esperienza stessa e dunque l'oggetto percepito.
Ovviamente, non va mai dimenticato che questo non significa ricadere in un idealismo assoluto, che ritiene il fatto creato dal soggetto. Abbiamo affermato che un fattore oggettivo non può non venire postulato, giacché il fatto viene modellato dal soggetto, non creato da esso.
Precisamente a questo punto si impone una rilevante considerazione: l'intenzione di chi si volge alla realtà (l'intenzione, quindi, che presiede al progetto conoscitivo) è quella di cogliere la realtà così come essa è, senza nulla aggiungere e nulla togliere: senza alterarla. L'intenzione è di vedere, giacché la visione rappresenta l'immagine più pura del coglimento della realtà nel suo autentico essere. Un vedere, dunque, che appartiene all'occhio dello spirito, non all'occhio del corpo; tant'è vero che la parola “idea” trae il suo etimo dal verbo greco orao (infinito aoristo: idein), che significa appunto “vedo”.
Se non che, se questa è l'intenzione, di fatto ciò che si coglie della realtà non è mai il suo essere in sé (kata physin), ma sempre il suo essere per noi (pros emas). Altrimenti detto: di fatto noi siamo costretti – e questa è una imposizione legata alla prassi, inclusa la pratica teorica – ad assumere come se fosse reale ciò che invece è fatto essere dal nostro punto di vista, cosicché si compie sempre uno
scambio surrettizio: ciò che vale come oggettuale – e dunque è vincolato strutturalmente alla soggettività – viene assunto come se fosse oggettivo, dunque come se fosse autonomo e indipendente, cioè assoluto: come se valesse quale autentica realtà.
L'intenzione di pervenire a qualcosa che sia oggettivo, perché trascende l'arbitrio legato al punto di vista, si capovol­ge nella pretesa che sia oggettivo ciò che è solo oggettuale e che coincide con l'oggetto della comune esperienza. Solo la considerazione speculativa, evidenziando l'equivoco che sostanzia il modo ordinario di conoscere, evita che si assolutizzi ciò che è e resta solo relativo: legato cioè al sistema di chi “fa” esperienza, dunque sempre ad esso relativo.
Ebbene, proprio questa intenzione di verità costituisce, vogliamo ribadirlo, quel soffio di verità che è presente anche nella ricerca scientifica occidentale. Quella spinta verso la verità che non si esaurisce proprio perché la verità non è mai definitivamente determinabile.
Del resto, una verità che si sottrae alla determinazione svolge una funzione fondamentale: evita che la ricerca possa venire considerata definitivamente conclusa, così che la tiene sempre viva. E questa perenne vita della ricerca costituisce, a nostro giudizio, la vita stessa dello spirito, quel soffio che non smette mai di spirare e che trasporta verso la verità.
In virtù della considerazione speculativa, la realtà assume il significato di ideale immanente alla ricerca. Reale, insomma, è ciò al quale si tende, non ciò che di volta in volta si trova. Ciò che si trova, pertanto, non esaurisce mai ciò che veramente si cerca e per questa ragione la ricerca permane infinita. Tutte le verità, incluse le verità della scienza, sono relative al sistema che le pone in essere, così che la consapevolezza critica, che evidenzia il loro intrinseco limite, costituisce anche la spinta per l'ulteriore ricerca.
In questo senso è lecito affermare che il fondamento del conoscere è teoretico, laddove i presupposti del suo dispiegarsi costituiscono gli assunti propri del sistema della teoria. Teoresi, quindi, è coscienza critica del procedere teorico, capacità di questionare i suoi assunti, i suoi risultati – legati agli assunti – nonché quella relazione di conseguenza logicache costituisce l'essenzializzazione logica del procedimento.
Ciò nondimeno, è altresì da ribadire con forza – come abbiamo fatto poco sopra, contra l’idealismo assoluto – che l’oggetto dell’ordinario esperire, seppure vincolato al soggetto, mantiene una sua relativa autonomia e una sua relativaindipendenza. Proprio in ragione di ciò, nessuna teoria risulta perfetta, neanche per l’oggetto che essa descrive. E non a caso lo stesso Kuhn, che pure è ben consapevole del valore dei paradigmi teorici in ordine alla costituzione dell’oggetto osservato, tuttavia riconosce l’inevitabile comparsa di anomalie, che mettono in crisi il sistema della teoria e che preparano le future rivoluzioni scientifiche.
Come si può spiegare questo status, nel quale coesistono due momenti tra di loro antitetici, e cioè il momento della dipendenza dell’oggetto dal soggetto e il momento dell’indipendenza da esso? Come si può affermare che il sistema di riferimento si oggettiva nei dati empirici, e poi riconoscere che questi ultimi conservano anche
11
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA autunno 2014


































































































   9   10   11   12   13