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spirito dei Samurai, presenti nel Kenjutsu (arte dell’uso della spada) e nella pratica dello Jaido (tecniche di estrazione e taglio con la spada), ma comuni anche in discipline più note quali Judo, Karate, Kendo.
Come vedete, quando parlo di queste arti le definisco discipline in quanto solo chi pratica in modo serio e costante può ottenere i risultati aspettati: serve quindi una scuola, un codice di comportamento ben preciso dentro e fuori di essa e soprattutto essere accettati sotto la guida di un maestro; figura fondamentale perché incarna la tradizione e gli aspetti che la disciplina praticata rappresenta.
Il fai da te, non è assolutamente previsto in quanto gli aspetti teorici e quelli pratici si fondono tra loro e devono essere affrontati man mano accompagnando la maturazione dell’allievo nella continua ricerca e nel miglioramento. L’obiettivo è quello di compiere di ogni gesto un atto destinato a rimanere per sempre.
Ora, tutti ben sappiamo che questo è impossibile; ne erano altrettanto ben consci i samurai medievali quando si preparavano alla battaglia o dovevano risolvere qualche diatriba amministrativa o di giustizia. Quello che ci insegnano con la loro affascinante filosofia è vivere il momento presente gestendo in modo adeguato le emozioni e, soprattutto, vincendo le paure per esserne liberi.
La mia riflessione vuole soffermarsi in questi ambiti perché il mondo che dovevano affrontare i samurai non è così diverso dalla nostra realtà di ogni giorno: la necessità di dare risposte coerenti ed immediate, ora come allora, è fondamentale e fa la differenza.
Certo nessuno oggi rischia la vita fisica, ma ponendol’accentosuunacontinuaperformance da mantenere e, non avendo molte persone il senso della disciplina tipica dei samurai, forse è il caso di aprire qualche riflessione che possa essere utile per la vita di tutti i giorni.
Taisen Deshimaru, monaco buddhista giapponese scomparso negli anni ‘80, sosteneva che “le possibilità del nostro corpo e della nostra mente sono limitate: è la sorte della condizione umana” e la via da percorrere per riuscire a superare questo stato è racchiusa nei segreti del Bushido (traducibile come “la via del guerriero”).
Il Bushido è un codice di condotta morale, scritto in Giappone nel VII secolo, con lo scopo di aiutare i samurai (classe politica e amministrava dominante nel Giappone di quegli anni) a svolgere al meglio il loro compito; gli autori sono diversi e differenti le epoche.
Nel testo vengono affrontati molti aspetti della vita pratica e della loro gestione, ma quello su cui i maestri maggiormente si focalizzano è aiutare il samurai a vincere le paure, soprattutto della morte, attraverso un allenamento duro e costante non solo fisico, ma interiore rendendolo un uomo unico nel suo genere sia in tempi di guerra che in quelli di pace: un uomo
quindi altamente flessibile, capace di passare dal campo di battaglia ai problemi della corte, dalla gestione dell’amministrazione all’arte e alla poesia con estrema facilità e competenza in un multitasking che oggigiorno invidieremmo senza alcun dubbio.
Il Maestro di spada Yagu Munemori (1571 - 1646) nel suo trattato Heiko Kadensho si sofferma su tre punti fondamentali per acquisire flessibilità: “Il ponte della scarpa” ovvero la necessità di conoscere in modo approfondito le tecniche principali, “La spada che dà la morte” cioè la psicologia con la quale affrontare l’avversario, “La spada che dà la vita” dove enuncia il concetto della “Non spada”. Questo pensiero è altamente innovativo: il praticante deve essere prima di tutto abilissimo nel maneggiare ogni genere di arma, ma per diventare un uomo autentico deve saper trascendere la tecnica. Come? Imparando a eseguire senza l’intervento della mente.
Sempre secondo le teorie del Maestro Munemori la mente rappresenta l’insieme dei concetti razionali e questi producono sempre nell’uomo conflitti e interferenze. Il praticante invece deve raggiungere uno stadio tale nella sua capacità di concentrazione da annullare totalmente la pratica ed essere in grado di agire in modo spontaneo senza pensare.
I suoi suggerimenti per coltivare la capacità di concentrazione vanno chiaramente a coinvolgere ambiti diversi: “Evitare sempre i conflitti con gli amici, saper discernere i principi di una relazione” ma anche “Allarga la tua conoscenza a tutte le cose” dove l’insegnamento vuole essere al comportamento degli uomini e al loro legame con le cose possedute.
E ancora “Quando nella tua mente non è rimasto più niente tutto diventa più facile (...) quando hai praticato indefessamente e nessuna delle pratiche in cui ti sei esercitato rimane nella tua mente, la mente vuota è il cuore di tutte le cose. (...) Per raggiungere questo stato devi praticare, se ti addestri al meglio l’addestramento scompare, questo è il segreto di tutte le vie”.
Dunque per compiere il primo passo verso una mente elastica bisogna innanzitutto saperla svuotare. Il principio è molto vicino alle filosofie buddhiste - zen dove si insegna il totale distacco da cose e persone per vivere più sereni e soprattutto per vincere le delusioni che ogni senso del possesso porta con sé. Infatti in un passo del suo trattato, Munemori enuncia: “L’attaccamento è ciò che chiamo malattia. L’attaccamento è aborrito nel buddhismo (...) Chi pratica la Via (delle arti marziali) non può essere certo considerato un maestro se, pur padroneggiando le tecniche, non si è ancora liberato dall’attaccamento.”
“Lascia libera la mente, non permetterle di fissarsi su un qualcosa, ma ricentrala infallibilmente a te”. Questo passaggio mi ha
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2014

