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individui che all’interno di uno stesso individuo. Precedentemente aveva fatto notare che le nuove tecniche di neuroimmagini, come le Immagini del tensore di diffusione e altre ci consentono di capire che la stessa operazione mentale può essere svolta da due individui usando circuiti cerebrali diversi (p. 219).
Gazzaniga,con queste parole, suona la campana a morto della teoria dell’identità così come del funzionalismo e di ogni concezione riduzionista delle attività psichiche.
Searle in un articolo recente (2013), pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle scienze degli USA, sostiene che la ricerca sul tema mente- cervello va a rilento perché la tecnologia di indagine non invasiva del cervello è arretrata. Affermazione solo parzialmente vera, perché le tecniche di neuroimaging a cui si riferisce Gazzaniga[1], che vanno a misurare il flusso dell’acqua nel cervello, consentono una visione più precisa delle connessioni cerebrali, soprattutto quelle, per così dire, a lunga gittata che sono realizzate dalla sostanza bianca. Queste tecniche hanno dato vita a un rinnovamento della neuroanatomia in vivo tramite lo studio delle connessioni all’interno degli emisferi, tra gli emisferi e tra aree corticali e sottocorticali, conosciuto come trattografia ( Catani 2012; Catani, Thiebaut de Schotten 2012).
Inoltre, la combinazione di tecniche di Risonanza magnetica funzionale (fRMI) con tecniche di Stimolazione magnetica transcranica (TMS) o di altre metodiche simili, che consentono, in modo non invasivo, di interferire su una precisa area corticale (attivandola o inibendola), ci danno la possibilità sia di stabilire il ruolo di quell’area all’interno del circuito sia di visualizzare il circuito, tramite appunto l’utilizzo combinato di fRMI. Già da questa prima fase di studi di neurofisiologia, utilizzando la combinazione delle tecniche di visualizzazione accennate e di altre, emergono alcune caratteristiche del funzionamento del cervello che spazzano via le speculazioni sul cervello modulare, sull’identità di circuiti neurali- funzione e mostrano invece che la regola è la connessione e l’integrazione tra aree distanti e spazialmente disomogenee (corticali e sottocorticali), che la sincronia di scarica dei neuroni è la modalità di collegamento, che grandissima è la variabilità interindividuale e anche intra-individuale, come suggeriva Gazzaniga nel suo testo.
Dimostrano infine che il cervello è il principale destinatario delle funzioni psichiche che emergono dai suoi circuiti. Le funzioni psichiche, infatti, servono non solo a produrre attività cognitive, sentimenti, emozioni, comportamenti, servono anche e soprattutto a strutturare i circuiti da cui queste attività emergono. La ricerca epigenetica (Bottaccioli 2014) ci ha aperto la via per comprendere come l’ambiente, fin dalle prime fasi di vita, modelli e strutturi l’epigenoma dei principali sistemi cerebrali deputati alle organizzazione dei comportamenti, all’apprendimento e alla memoria, alle relazioni, in definitiva all’interfaccia con il mondo (McEwen, Morrison 2013). Vediamo meglio questo aspetto, che è anche un punto dolente della neurobiologia contemporanea
e su cui la filosofia della mente, anche quella di Searle, semplicemente sorvola.
L’ultimo tabù: può la psiche retroagire sul cervello? Uno dei più celebri neurobiologi contemporanei, Gerald Edelman, premio Nobel per la medicina, che ha dedicato gli ultimi 40 anni allo studio dei meccanismi di produzione della coscienza scrivendo lavori scientifici e libri di grande impatto internazionale, manifesta il suo dissenso radicale verso l’approccio allo studio delle relazioni mente- cervello, che il grande psicologo e filosofo americano William James ha proposto alla fine dell’Ottocento.
Per James la coscienza emerge nel corso dell’evoluzione proprio per governare un sistema nervoso divenuto troppo complesso per regolarsi da sé. Quindi la coscienza retroagisce “sulle correnti nervose”, anche se, ammette, “al momento non sappiamo come questo accada”. Più di un secolo dopo, Edelman (2004) senza mezzi termini dichiara che, pur essendo un ammiratore di James e condividendo sempre le sue visioni sulla coscienza, il suo punto di vista sulle relazioni tra coscienza e cervello è opposto a quello dello psicologo. Quindi, secondo Edelman, la dimensione psichica non retroagisce sulle condizioni cerebrali da cui emerge. Ma già quando Edelman scriveva queste cose, c’erano neurobiologi che affermavano esattamente il contrario: Francisco Varela e Joseph LeDoux. Sia per Varela (1985) che per LeDoux (2003, p. 444) la questione è chiara: la psiche retroagisce sul cervello, anche se, ammettono, le prove empiriche sul finire del secolo scorso non erano proprio abbondanti.
Antonio Damasio, l’altro grande protagonista della ricerca e del dibattito neurobiologico contemporaneo, dopo aver dedicato diversi libri allo studio delle relazioni cervello-emozioni- cognizione, quindi allo studio delle relazioni che vanno dal basso all’alto (buttom-up) in coerenza con la sua lettura di Baruch Spinoza sulla centralità del corpo che è l’ “oggetto costituente la
mente” (Damasio 2003, p. 254), dedica alcune battute finali del suo ultimo libro all’ “interattività di biologia e cultura”, al fatto che “gli sviluppi culturali possono portare profonde modificazioni del genoma umano” (Damasio 2012, p. 366).
Anche se è davvero pochino, in un volume di quasi 400 pagine largamente dedicato ancora una volta alla sua ossessione spinoziana, al “cervello che ha in mente il corpo”, resta il fatto che mi pare un segno dei tempi.
Le prove che invocavano Varela e LeDoux oggi cominciano ad esserci. Prove che combinano le tecniche di neuroimaging e quelle di epigenetica.
Come la dimensione psichica e sociale cambia il cervello Dall’epigenetica sappiamo (Bottaccioli 2014) che un comportamento materno o una condizione stressante possono segnare epigeneticamente aree cerebrali fondamentali come l’ipotalamo, l’ippocampo, l’amigdala, le cortecce prefrontali, con conseguenze tendenzialmente stabili nel corso
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2014

