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bizzarrie linguistiche dei filosofi della mente, nelle sue varie forme, l’approccio di fondo può essere così riassunto: gli eventi mentali sono eventi fisici e come tali sono riducibili all’attività del sistema nervoso.
Il filosofo della mente John R. Searle (2005, p. 3) scrive che “tutte le più famose e influenti teorie della mente sono false”. Affermazione che, per la sua autorevolezza, consola la mia personale condivisione. Searle chiarisce che è scontato che la mente dipenda dall’attività cerebrale e che quindi abbia un fondamento materiale: in questo senso non si può non essere materialisti, a meno di ricadere in una visione metafisica dell’anima. Ma, al tempo stesso l’attività mentale non può essere ridotta all’attività dei neuroni, nel senso che essa è il prodotto emergente dell’attività nervosa. L’attività mentale “può essere spiegata completamente tramite l’attività dei neuroni, ma questo non dimostra che non sia altro che attività dei neuroni” (p. 108) La mente quindi è distinta dal cervello. Sta qui il suo essere né materialista (riduzionista) né dualista.
La teoria del filosofo di Berkeley è certamente quella che apprezzo di più, ma, a mio modesto avviso, risente di alcuni limiti. Vediamoli: 1. Searle come tutti gli altri filosofi della mente riduce la questione delle relazioni mente-corpo alla relazione mente-cervello che, invece, è un aspetto del problema, non tutto il problema
2. Conseguentemente cita spesso il corpo, ma nei suoi testi il corpo, nella sua complessità biologica che influenza ed è influenzato dalla psiche, non c’è; al massimo c’è qualche circuito od area cerebrale
3. Identifica la mente con la psiche, laddove è platealmente un’operazione arbitraria,anche se largamente condivisa nella cultura anglo- americana
4. Nemmeno intravvede la possibilità che la psiche possa influenzare, cambiandola, la macchina cerebrale da cui emerge. Ma in questo, Searle è in compagnia di molti importanti neuroscienziati, anche se la situazione sta cambiando
La neurobiologia contemporanea nella morsa dell’identità mente-cervello L’esempio più chiaro delle idee che hanno dominato per decenni nella neurobiologia contemporanea sta in un libro di Michael Gazzaniga della fine del secolo scorso. Gazzaniga è un illustre scienziato, direttore di importanti istituti e programmi di ricerca universitaria degli Stati Uniti d’America, nonché editor di un classico Textbook internazionale The Cognitive Neurosciences. Ecco come il neuroscienziato tratta la questione del rapporto mente-cervello:
La mia opinione su come funziona il cervello è basata su una prospettiva evolutiva che muove dalla considerazione che la nostra vita mentale riflette le azioni di molti dispositivi nervosi, forse da decine a migliaia, installati nel nostro cervello sin dalla nascita. Questi dispositivi compiono per noi operazioni cruciali, dal guidarci quando camminiamo o respiriamo all’aiutarci quando formuliamo sillogismi. Si tratta di dispositivi nervosi di ogni genere e forma e tutti
ingegnosi (Gazzaniga 1999, p. 22)
È davvero sorprendente l’analogia tra l’approccio di un neuroscienziato contemporaneo, di grandissimo prestigio, e la visione “ingenua” di Julien O. De La Mettrie. Nelle teorie
cognitive del medico-filosofo francese, il cui libro L’homme machine lo rese celebre a metà del Settecento, c’erano le molle che in automatico guidavano la macchina umana, nella neurobiologia dello scienziato americano ci sono i dispositivi nervosi che svolgono la stessa funzione. E affinché non ci siano equivoci, Gazzaniga chiarisce:
“Agli inizi può essere difficile accettare che la maggior parte di questi dispositivi svolgano il proprio lavoro prima che noi ne siamo consapevoli. Noi esseri umani abbiamo una visione antropocentrica del mondo. Riteniamo di essere noi stessi a dirigere lo spettacolo [...] Ciò non è vero, anche se sembra esserlo in virtù di un dispositivo speciale, chiamato interprete, collocato nell’emisfero sinistro. Interpretando il nostro passato - le azioni già compiute dal sistema nervoso- questo dispositivo ci dà l’illusione di avere il dominio delle nostre azioni” (ibidem, corsivo nel testo).
Il pensiero di Gazzaniga è racchiuso in queste frasi: il nostro cervello è una macchina geneticamente predeterminata, dotata di congegni che comandano le nostre attività, da quelle fisiologiche e vegetative fino a quelle comportamentali. In realtà, non siamo padroni di noi stessi: ci sembra di esserlo perché abbiamo un altro congegno in testa che ci dà l’illusione di decidere ciò che in realtà ha già deciso per noi il nostro cervello.
Questo modello dell’ Home machine, questa linea del predominio assoluto dell’automatismo biologico, che ha dominato nell’ultimo mezzo secolo la neurobiologia (e la mente di Gazzaniga), privando la psicologia di una biologia di riferimento affidabile, oggi sta scricchiolando, come lo stesso Gazzaniga confessa.
Una teoria troppo stretta
Nel suo ultimo libro (2013), Gazzaniga ammette che “le cose non sono così semplici” e che “la mente prodotta dai processi fisici del cervello, pone ad esso dei limiti” (p. XIII). Cioè la mente retroagisce sul cervello che l’ha prodotta.
Oltre a questo argomento cruciale, che vedremo nel prossimo paragrafo, Gazzaniga va al cuore del paradigma dell’identità mente cervello. Pur tra molte debolezze argomentative, che appaiono vestigia del peso di una carriera scientifica segnata dall’automatismo cerebrale, il neuroscienziato così riassume le sue opinioni attuali:
a)	Tutti i cervelli sono diversi l’uno dall’altro. Diventa impossibile determinare un pattern di attività in un individuo sia normale che anormale b)	La mente, le emozioni e il modo con cui pensiamo cambiano di continuo. Ciò che viene misurato nel cervello nel momento della scansione (di immagine cerebrale, nota mia) non riflette ciò che è successo nel momento in cui magari uno ha commesso un crimine (p. 220)
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2014


































































































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