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alle verdure di un semplice orto. Se proviamo a fare un quadro della situazione dell’alimentazione del nostro paese ai primi del ’900 ci accorgiamo che non tutti gli italiani potevano permettersi una dieta equilibrata da un punto di vista nutrizionale calorico; a fronte di un’alimentazione spesso eccessiva di pochi erano diffuse diete carenziali di molti.
Oggi si stanno ribaltando i riferimenti, anoressia e bulimia sono il segno inequivocabile di una società che sta perdendo la capacità di alimentarsi saggiamente e di saper gestire i sapori e le calorie. Attorno a noi stanno accadendo fatti paradossali, ne cito uno a titolo esemplificativo: il costo che si deve sostenere per dimagrire è maggiore di quello che si spende per ingrassare.
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Credo che realmente valga la pena anche in questo campo di ricentrare il sistema sul suo soggetto che non può essere il business agro-alimentare, né l’ecoterrorismo di segno opposto, né un modello artificiale di “linea” imposto dall’industria della moda: il centro del sistema deve ritornare ad essere l’uomo che gioca la sua libertà nella valorizzazione della ricchezza delle culture anche in ambito dietetico ed alimentare. L’uomo di oggi sta infatti combattendo per vivere battaglie meno cruente di quelle del suo antenato di qualche secolo o millennio fa, battaglie meno cruente ma, al tempo stesso, assai più subdole e pericolose: combatte meno per aver salva la vità e di più per conservare l’integrità fisica, psichica e biologica sua e della sua specie.
La nube tossica dei diserbanti e pesticidi che accompagna i cibi di cui ci nutriamo, gli attacchi al cuore endocrino del nostro sistema biologico prodotti dagli ormoni somministrati alle varie mucche pazze, il controspionaggio cromosomico delle pecore o pomodori “dolly” che compaiono sulla nostra tavola a pranzo e cena sono solo alcuni degli esempi del versante dietetico della battaglia di espropriazione dell’umano nella quale, volenti o nolenti, siamo ingaggiati. Tralasciamo in questa sede i versanti culturale, politico, commerciale, finanziario, etico, religioso della stessa battaglia.
Il “pane quotidiano”, un tempo gesto di benevolenza di Dio e di condivisione tra gli uomini del loro destino, sta diventando un terreno di lotta tra ideologie, bulimie, merendine, snack, ormoni, anoressie, pappette precotte per neonati, antibiotici dell’ultima generazione, diserbanti, cibi geneticamente modificati: l’uomo sta salendo sulla Torre di Babele e la confusione degli idiomi miscelata all’arroganza del potere vorrebbe sferrare l’attacco finale proprio sulla nostra mensa.
Ma che c’entra tutto questo con un libro di dietetica cinese?
Si tratta di un volume che affronta un’argomento sicuramente assai particolare che può ricordare al suo lettore come la sapienza abbia saputo costruire – quando correttamente finalizzata all’uomo – delle tradizioni vere che uniscono – è veramente il caso di affermarlo – il “bello” al “ buono”. Una volta scardinato anche attraverso un aspetto particolare il progetto del “grande fratello” sarà molto più facile combatterlo! Dal recupero di tradizioni nate in Oriente può nascere l’entusiasmo per la rivalorizzazione delle proprie.
Mi auguro che questo volume possa dare il suo contributo a comprendere la dietetica cinese ed ad integrarne le ricchezze nel nostro contesto culturale e scientifico partendo proprio dalle considerazioni appena esposte, perché “il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.
Infine un ringraziamento agli autori: questo volume nasce come raccolta ed elaborazione degli appunti di due seminari tenuti da Massimo Muccioli nella primavera del 2000 presso la Scuola della Fondazione Matteo Ricci di Bologna: la stesura e sistematizzazione degli appunti svolte da Margherita Piastrelloni e Attilio Bernini hanno permesso questa edizione.
Li ringrazio personalmente ed a nome del Comitato di Redazione della Rivista Italiana di Medicina Tradizionale Cinese: mi emoziona sempre il pensare come anche l’elaborazione
La povertà di una grossa fetta della popolazione determinava scarsità di alimenti se non addirittura la “fame”; tuttavia, eccetto che in situazioni rarissime, il controllo dei fattori mentali che regolano l’alimentazione era salvo.
Oggi si stanno ribaltando i riferimenti, anoressia e bulimia sono il segno inequivocabile di una società che sta perdendo la capacità di alimentarsi saggiamente e di saper gestire i sapori e le calorie. Attorno a noi stanno accadendo fatti paradossali, ne cito uno a titolo esemplificativo: il costo che si deve sostenere per dimagrire è maggiore di quello che si spende per ingrassare. A differenza di quanto costantemente accaduto dalla comparsa del genere umano sulla terra, nel nostro tempo e nei paesi ricchi, la classe sociale abbiente si distingue per il risparmio calorico dei suoi rappresentanti e per la sua “linea” se confrontata con quella meno abbiente che si identifica maggiormente con l’opulenza fisica che spesso si tramuta in l’obesità. La linea dei primi ed il sovrappeso dei secondi sono la conseguenza dell’impossibilità di questi ultimi – per motivi contemporaneamente di origine economica, sociale e culturale – di elaborare meccanismi di revisione e critica dei modelli dietetici imposti dal business agroalimentare. Anche la gestione omologata del nostro tempo va a scapito di una corretta alimentazione; gli spot di cui siamo bersaglio ci standardizzano sul tutto- uguale, sul non-sapore, su toast-burger-tramezzino da trangugiare distrattamente il più rapidamente possibile. La società in cui viviamo prima ci ha fornito le calorie, poi ci ha tolto i sapori e, conseguentemente, ora ci sta privando anche del tempo per gustarli. I ritmi della nostra vita ci impongono un “cibo spesso ipercalorico ed omologato” da mangiare in “tre minuti” in modo da risparmiare tanto tempo da utilizzare lavorando: così guadagniamo più denaro. I massmedia ci suggeriranno poi come spenderlo.
Mi viene un solo dubbio, un grande inesorabile dubbio: in questo meccanismo l’uomo dov’è?
Ed a seguito una domanda: che ne è della sua libertà?
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2017

