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del settore, la macrobiotica rappresenta una delle scuole della “dietetica di opposizione” che, però, talora corre il rischio di “omologare” su un “integrismo” uguale e contrario.
La dietetica e l’arte culinaria cinesi si possono confrontare con l’Occidente ad un altro livello: quello della tradizione, della scienza e della cultura che hanno saputo valorizzare ed esaltare gli alimenti più semplici e quelli più raffinati assegnando ad ognuno il suo specifico ruolo ed il suo spazio nella prevenzione e nella terapia come nei colori e nei sapori della tavola imbandita di tutti i giorni e di quella degli incontri conviviali in occasione delle festività.
In questo senso l’Europa – ed in particolare l’Italia – e la Cina si possono confrontare perché hanno saputo suscitare e sviluppare una tradizione alimentare che è contemporaneamente un evento culturale, sociale, scientifico, edonistico ed educativo.
Il sedersi ad una tavola imbandita non è solo un ottimo sistema di approvvigionamento calorico, glucidico, lipidico, vitaminico e di nutrienti per il nostro organismo, ma anche un valido metodo di prevenzione e di terapia delle malattie. Il tempo del pasto non è semplicemente un evento affettivo e sociale che ci permette – assaggiando i cibi – di dialogare con i figli, decidere le sorti di un’azienda o trascorrere una serata con gli amici, è anche un evento culturale che ci fa capire le nostre origini per progettare il nostro futuro.
Nel nostro paese la fantasia del popolo ha saputo valorizzare i cibi semplici – così sono nati la pizza, gli spaghetti ed i maccheroni – e quelli più raffinati, attingendo prima alle sue radici culturali greche e romane e successivamente ai contatti con i popoli nordafricani a Sud, slavi e bizantini a Est, neolatini ad Ovest e mitteleuropei a Nord: i sapori della tradizione francese si ritrovano nella cucina piemontese, quelli austriaci a magiari in alcuni stufati padani lontani parenti del gulash, e quelli
arabi nel cascà di Carloforte che ricorda anche nel nome il couscous marocchino.
La storia del nostro paese – crocicchio di civiltà – è sempre stata caratterizzata da una grande capacità di fare proprio il meglio delle culture con cui è venuta in contatto per valorizzarne gli aspetti positivi e rilanciarli in una nuova sintesi: ciò è vero anche per la dietetica e l’arte culinaria. Ricordiamo – a titolo esemplificativo – l’incontro con i cibi del nuovo mondo che ha rivoluzionato dopo la scoperta delle Americhe la dieta europea: la patata è stata introdotta a Siviglia per la prima volta nel 1575 e da allora è diventata uno dei capisaldi della dieta soprattutto nel Nord Europa, la pizza napoletana non esisterebbe senza il pomodoro così come la caponata siciliana senza peperoni e melanzane; ma pomodoro, peperoni e melanzane erano sconosciuti ai nostri avi prima delle scoperte di Colombo.
L’incontro con la dietetica cinese è al tempo stesso incontro con vecchi cibi che già conosciamo classificati però secondo criteri differenti da quelli occidentali, con nuovi cibi da scoprire e valorizzare, con l’arte culinaria cinese che significa nuovi metodi di taglio, confezione, preparazione e cottura. Si tratta di una nuova rivoluzione che mi sento di paragonare in parte a quella successiva alla scoperta delle Americhe.
L’incontro con la dietetica cinese è al tempo stesso incontro con vecchi cibi che già conosciamo classificati però secondo criteri differenti da quelli occidentali, con nuovi cibi da scoprire e valorizzare, con l’arte culinaria cinese che significa nuovi metodi di taglio, confezione, preparazione e cottura. Si tratta di una nuova rivoluzione che mi sento di paragonare in parte a quella successiva alla scoperta delle Americhe.
In questo scenario entrano tuttavia in gioco, all’interno dei processi di globalizzazione, anche altri fattori: l’intervento della nuova agricultura con il problema degli organismi geneticamente modificati, quello delle tante “mucche pazze” con cui dovremo confrontarci e quello della nuova potente lobby dell’industria alimentare che vuole confezionare cibi già pronti perché rappresentano il business del futuro.
La lotta contro il “grande fratello” si sta tuttavia facendo dura e cambiano i connotati dei contendenti.
Un tempo esistevano due cucine: quella dei ricchi e quella dei poveri. Nella cucina dei ricchi il disporre di molto cibo era segno di abbondanza ed il saperlo cucinare era un’applicazione di saggezza mentre in quella dei poveri occorreva sopperire alla penuria di cibo con la fantasia: le erbe povere e selvatiche hanno trasformato il minestrone ladino in un piatto da re e la bagna cauda piemontese ha dato il valore di piatto forte
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2017

