Page 22 - Numero 15 Autunno 2015
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     Tutti abbiamo la presunzione di respirare in modo corretto e se abbiamo “il fiatone” diamo la colpa al pranzo, al fumo o a qualche chilo di troppo: in realtà non sappiamo respirare in modo adeguato rispetto ad uno sforzo, o ad una emozione: fare le scale per raggiungere la camera dove riposarci, correre per abbracciare nostro figlio, o scappare da un pericolo di morte. La differenza sta nella relazione tra respirazione ed evento: basta solo allenarci.
Ma perché la tristezza? L’Ego
“Siamo in ostaggio della continua ansia di dimostrarci migliori dei nostri amici e dei nostri colleghi. Schiavi della nostra reattività capricciosa e dei desideri egocentrici. Prigionieri del nostro lavoro e delle pressioni finanziarie. Succubi dell’opinione che gli altri hanno di noi. Vittime del nostro bisogno di farci accettare”. (Yehuda Berg, rabbino americano)
Sempre secondo Yehuda Berg la causa principale dei nostri disagi è dovuta al nostro Ego che il rabbino nelle sue lezioni definisce la radice di ogni sofferenza, la via che ci impone ad avere sempre ragione, a prevalere sugli altri fino al punto da non essere più liberi di scegliere impedendoci la vera ricerca del benessere personale.
Per immaginare come la negatività possa essere respirata e quali danni possa provocare dobbiamo pensare ai nostri 300 milioni di alveoli polmonari. In essi si realizza lo scambio di ossigeno e anidride carbonica senza il quale non potremmo vivere. Questi alveoli, a loro volta sono irrorati costantemente da piccolissimi capillari grazie ai quali il sangue può rilasciare l’anidride carbonica e riempirsi di ossigeno in modo da alimentare le cellule.
I polmoni sono l’unica porta aperta verso l’esterno e per questo è strutturato con protezioni continue contro gli agenti patogeni. Ma non basta e dato che la respirazione e il cuore sono le uniche funzioni organiche automatiche, inconsce e involontarie, l’unico modo che abbiamo per aiutarla e aiutarci a non respirare negatività è di utilizzare efficaci tecniche respiratorie di rilassamento.
Infatti solo calmando il sistema nervoso autonomo potremmo rilasciare le tensioni inconsce e tenere maggiormente a bada il nostro Ego.
La tristezza
“Solo un uomo che ha sentito la disperazione finale è capace di sentire la beatitudine finale.” (Alexandre Dumas Padre)
Cosa è questa emozione? Da dove nasce e come ci assale? Perché alcune persone riescono a superarla facilmente e altre no? La tristezza ci avvolge quando abbiamo l’impressione di avere perso qualcosa di importante, di non poter raggiungere un determinato obiettivo, di non riuscire a rialzarci da un fallimento o per non mancanza di speranza. Se questa emozione diventa prevalente l’Ego e tutti gli effetti negativi che ne derivano sono così alimentati da chiuderci nella solitudine,
nell’egoismo e nell’isolamento dal resto del mondo. Non a caso la psicosomatica fa riferire tutte le malattie inerenti all’apparato respiratorio, dal raffreddore alle polmoniti, proprio alla chiusura in se stessi. È una questione di non riuscire a gestire le difficoltà col mondo esterno proprio causate dal senso di tristezza e di ripiegamento su se stessi. Tanto più è forte il grado d’importanza che attribuiamo a ciò che abbiamo perso o non possiamo raggiungere, tanto più la tristezza sarà acuta, profonda e segnerà la persona.
Cosa fare? Dato che è impossibile che un evento importante non lasci il suo segno, quindi dobbiamo dedurre che comunque è necessario fare i conti con momenti di tristezza? Assolutamente si.
E quando non passa? Come tutte le emozioni, i professionisti della relazione di aiuto, ci dicono che la tristezza va accettata. Qualsiasi emozione che noi percepiamo ha una sua logica e non arriva a caso: un atteggiamento positivo e proattivo è sicuramente il migliore. Farsi carico della propria dose di tristezza in un momento specifico della nostra vita significa lasciarle svolgere la sua funzione ed è ormai provato che ogni volta che tentiamo di bloccarla questa aumenta la sua presenza in modo esponenziale. Gli psicologi indicano che lo scopo preponderante della tristezza è metterci di fronte a noi stessi, aiutarci a capire chi siamo e valutare la nostra capacità di reagire agli eventi in modo proattivo. A volte ci aiuta a ritrovare la giusta dimensione spirituale della nostra esistenza imponendoci di ricercare più nel profondo, aiutandoci a fare emergere i nostri punti di forza e soprattutto a vincere il nostro Ego. Certo è che intorno a noi vediamo sempre più persone tristi. Le motivazioni possono essere relazioni insoddisfacenti, lavori poco remunerativi o poco gratificanti, desideri che non si possono realizzare. Tutti sono accomunati da aspettative irrealizzate. E qui come insegna la spiritualità ebraica entra nuovamente in gioco l’Ego: a quanto pare è questo che impedisce alle persone di riconoscere i propri limiti in modo coerente, o contemporaneamente, riduce le possibilità di realizzazione persone sulla base di luoghi comuni, di preconcetti o per ignoranza. Reagire alla tristezza aiuta sicuramente qualsiasi processo di guarigione e autoguarigione, ma in questo come fare? E come può intervenire la riflessologia?
Riflessologia e tristezza.
Un amico psicoterapeuta, esperto in psicosomatica, mi raccontava di un suo approccio che aveva aiutato molti suoi pazienti a vincere lo stato di tristezza. Nella prima fase la persona aveva il compito di riconoscere la propria tristezza, nella seconda di ricercare e di trovarne le cause, ma la parte più interessante era il compito quotidiano di scoprire e ri-scoprire tutti quei piccoli cambiamenti che si avvengono normalmente nella giornata di ogni persona. La parola chiave da usare per aprire le porte della
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