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l’animale fugge o si prepara a rispondere all’attacco del predatore. Allo stesso modo l’uomo, attraverso il padiglione auricolare, coglie suoni e segnali che lo aiutano a trovare la giusta direzione e orientarsi nelle scelte. Il complesso labirinto dell’orecchio capta il suono attraverso il padiglione auricolare che si presenta con la sua cartilagine come una parte molto sensibile e delicata. Inevitabile pensare che come il padiglione auricolare coglie tutti i suoni così le innervature ad esso connesse li rimandino a organi e visceri prima ancora che gli stimoli siano catalogati e riconosciuti dal cervello.
Lo psicanalista Teodor Reik nel suo “Listening with the third ear” era convinto che l’intangibile potesse comunque essere udito soprattutto grazie all’ “intuizione”. In questo potremmo anche aggiungere che l’alchimia ha sempre inteso la meditazione come un colloquio intimo e creativo in cui l’altro non è visibile, come un rapporto vivo in cui la voce dell’altro risponde direttamente in noi. Le cose passano da uno stato inconscio a uno consapevole attraverso il dialogo tra questi due orecchi. Per questa ragione l’orecchio è importante non solo per sentire, ma per ascoltare e donare emozioni agli organi direttamente coinvolti e ad esso connessi.
Secondo il medico e auricoloterapeuta Osvaldo Sponzilli il lobo rappresenta le nostre radici e in esso vi sono già le rappresentazioni del tutto. Il lobo è quindi il centro di comando più importante capace di influenzare il tutto. Così dal punto di vista riflessologico se il padiglione auricolare manifesta lo stato dell’organismo così il lobo è la regione riflessa del cervello: aspetto molto importante se si tiene presente che la maggior parte dei disturbi procede dalla psiche al soma.
La mano
Le prime rappresentazioni artistiche realizzate dagli uomini primitivi si presume siano state fatte appoggiando alla roccia le mani e spruzzandovi sopra ocra rossa o cenere nera. In antropologia l’immagine delle cinque dita aperte rappresenta la potenzialità espressiva della coscienza umana. La mano è lo strumento creativo per eccellenza: con le mani plasmiamo, scalpelliamo, tessiamo e forgiamo, utilizziamo strumenti chirurgici salvando vite umane o più semplicemente battiamo su una tastiera i nostri pensieri rendendoli storie o creando, se si tratta di uno strumento musicale, melodie. Al contrario le potenzialità creative della mano possono diventare distruttive: la mano può colpire, ferire, impugnare armi. Alla mano sono collegati molti detti popolari per esprimere concetti più ampi: avere le mani bucate, d’oro, legate, leste, pesanti o leggere. Molta della nostra comunicazione passa attraverso l’azione silenziosa della mano: gli innamorati la tengono stretta, consoliamo una persona poggiandola la nostra mano sulla sua spalla, rassicuriamo un bambino con una carezza, quando le alziamo ci arrendiamo al nemico. L’uso del linguaggio della mano supera barriere di popoli, razze, culture e nazioni con gesti che sono simili e che ci accompagnano tutti.
Quando la mano è aperta dona, quando è chiusa diventa un pugno ci espone a una minaccia e così, nello stesso modo, la mano filtra tutti i
nostri sentimenti e le nostre emozioni mostrandole all’altro o nascondendole (è tipico di molti ordini religiosi nascondere le mani sotto lo scapolare dell’abito quale segno di umiltà e sottomissione). Per questa ragione in riflessologia la mano gioca per l’uomo un ruolo importantissimo: se l’orecchio accoglie le emozioni, la mano le esprime.
Il dorso
Quando circa cinque milioni di anni fa gli uomini cominciarono a camminare in posizione eretta si aprì la possibilità di utilizzare in modo libero le braccia e le gambe. Questa fu una svolta radicale nella storia dell’evoluzione dell’uomo. È fuori di dubbio che la colonna vertebrale sia fondamentale per i nostri movimenti e per la nostra stazione eretta: la postura che assumiamo nelle diverse situazioni esprime non solo il senso di stabilità, ma anche il nostro stato di salute e di benessere. Chi è depresso si curva su se stesso; chi al contrario è sicuro di sé, avanza diritto e prestante. Viene anche definita spina dorsale. Il termine deriva dal mondo botanico. Per i Tantristi indù la spina dorsale è fulcro della meditazione: in essa risiedono tre nervi entro i quali scorre il soffio vitale. Questo argomento interessò anche Carl Gustav Jung che lo definì “la localizzazione anatomica che coincide coi centri subcorticali, il cervelletto e il midollo spinale”. In molti archetipi la spina dorsale o la colonna vertebrale rappresentano l’unione simbolica tra ciò che è in basso e ciò che sta in alto, tra il cielo e la terra.
Il legame vitale che connette le singole vertebre rappresenta insomma non solo la fluidità dello scorrere della vita, ma ne diviene il legame stesso, conferendo stabilità alla psiche, donando personalità, da cui il detto avere “spina dorsale”, inteso come forza e grandezza d’animo in grado di sostenere una vita autentica.
L’immagine che ne danno i cinesi è ancora più artistica: “la collana di perle” quasi a mostrarci come la bellezza esteriore di un simile manufatto sia insita in noi tanto da renderci altrettanto belli, unici e preziosi.
Per questo si ritiene in riflessologia che le fasce metameriche rappresentino la lettura completa dello stato emozionale della persona e che gli “interruttori” per sbloccare le energie risiedano proprio lungo la spina e lungo i metameri.
Il viso e la testa
La parte del corpo che ci sovrasta e racchiude difendendolo il nostro cervello, ha interessato da sempre tutte le culture in modi e forme differenti. Presso molti popoli, ancora oggi, è considerato un potente talismano conservare le teste dei nemici, in altri offrirle come segno di devozione. In molte culture coprire il capo significa nascondere l’anima che in esso è racchiusa o creare mistero intorno alla bellezza che è rappresentata dai lineamenti del volto. In molti riti religiosi (anche occidentali) la maggior parte delle benedizioni avviene con l’imposizione delle mani sul capo. Il valore di qualsiasi organizzazione dipende dal “capo” e anche un semplice discorso deve avere “capo e coda”. Se la spina dorsale sostiene il sistema elevandolo o abbassandolo, le mani ne propagano le azioni e i piedi ne dirigono la direzione, il capo ne è il punto nevralgico.
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