Page 69 - Olos e Logos n°11
P. 69
Conviene approfondire analizzando i vari elementi in gioco
Il dojo: il luogo della memoria Le arti marziali si distinguono dalle normali
attività sportive per la loro finalità: nei luoghi di allenamento anticamente non si forgiavano atleti, ma guerrieri. Per questa ragione ancora oggi chi frequenta una scuola di arti marziali parla di “addestramento” o, ancor più spesso, di “pratica”. Nello stesso modo l’addestramento alle arti marziali è infinito: si sa quando si comincia, ma il buon praticante sa che praticherà per tutta la vita, a volte cambiando scuole, stili, tradizioni, ma lo spirito della conoscenza lo guiderà fino alla morte, proprio come gli antichi samurai; oppure abbandonerà il campo.
L’ambiente destinato a imparare le tradizioni è il dojo (道場 ). Letteralmente potrebbe essere
tradotto dal giapponese come “luogo dove si percorre la via”. Già l’etimologia ci presenta come chi incomincia a imparare un’arte marziale venga introdotto in un cammino di crescita sia tecnica, che personale che spirituale. Questa crescita è spesso paragonata a una via da seguire. Perché? Perché come tutte le strade deve condurre da qualche parte e come tutti i percorsi non è scevro da difficoltà.
All’interno del dojo vi è sempre uno spazio dedicato allo spirito degli antenati, il Kamiza (上 座). Questo è un piccolo altare dove si depone un
fiore in cui è presente l’immagine (o in tempi più moderni una foto) di un maestro che si è distinto in quella scuola. È buona abitudine per gli allievi del dojo inchinarsi al Kamiza in segno di rispetto, così come fare il saluto rituale d’inizio e fine lezione sotto le direttive dell’attuale maestro, di uno degli insegnanti da lui designati o di un senpai (先輩), un allievo anziano degno di fiducia del maestro stesso che abbia una buona padronanza delle tecniche e degli insegnamenti. In alcuni dojo soprattutto dove si pratica il Kendo (剣道 trad. “Via della Spada”) solitamente il maestro, o chi per esso, invita e guida i praticanti in un momento di meditazione e concentrazione che ha proprio lo scopo di dare sacralità a ogni aspetto della
pratica . La presenza del Kamiza trasforma chiaramente il
dojo in un luogo sacro. Il tatami, la pavimentazione tradizionale in bambù (sostituita con altri materiali in Occidente) delimita lo spazio di azione e il posizionamento degli allievi avviene in modo prederminato, ogni esercizio viene generalmente avviato sempre rivolti al Kamiza e sotto lo sguardo attento e autorevole di Maestro e Insegnanti. Nel saluto iniziale e finale gli allievi si dispongono per anzianità e grado di pratica; gli allievi più giovani a sinistra (guardando il Kamiza) e quelli più anziani ed esperti a destra.
Inutile dire che durante la lezione e soprattutto quando il maestro parla, agli allievi è proibito lasciarsi andare a commenti e distrazioni: l’atmosfera deve rimanere, concentrata, attenta e soprattutto orientata all’imparare e al condividere gli insegnamenti con i compagni di corso sempre con spirito di apertura e umiltà.
Sempre in relazione al Kamiza oserei direi che parte proprio da qui il senso della trasmissione della tradizione perché la logica è quella di rivivere quanto già vissuto da chi è precedentemente passato per il dojo. Ogni atto, formale o informale, è lo stesso da secoli, da quando il primo maestro, che spesso si staccava da un’altra scuola per mandato specifico di un’autorità o del suo stesso maestro, ha cominciato a impartire quanto da lui appreso negli anni di pratica.
L’inchinarsi all’effige del maestro è il primo passo proprio che riconosce l’importanza di tradizioni antiche che, spesso, a noi occidentali possono sembrare fuori tempo e luogo. Una di queste, diversamente dall’immaginario collettivo che dipinge i samurai come spietati e violenti, è il senso della “calma”.
È sempre bene avvicinarsi al dojo con calma, lasciando fuori i pensieri, soprattutto negativi, e
facendo mushin (無⼼心 trad: no mente – non usare la mente). Questa modalità non allontana i pensieri, ma li lascia scorrere liberi come le nubi in modo da non focalizzare l’attenzione su nessuno di essi permettendo agli insegnamenti teorici e pratici del maestro di “entrare” e “dimorare”.
Già dallo spogliatoio dove si indossano keikogi, hakama o altri abiti legati alle singole pratiche si deve mantenere un atteggiamento concentrato. Gli abiti vanno indossati con decoro e cura, le armi impugnate con sicurezza, determinazione e serietà, mai abbandonate a se stesse, ma sempre portate con sé.
Il clima, anche se si tratta di una lezione, è simile all’addestramento che i samurai ricevevano per prepararsi alla battaglia. Anche gli scherzi tra compagni di corso non devono mai scadere nel volgare o peggio nello schiamazzo: hanno lo scopo di allentare la tensione soprattutto tra i più giovani che incominciano a comprendere la serietà di ciò che vanno a imparare e per il quale molti sono morti sui campi di battaglia. Per alcuni questo potrà sembrare anacronistico; per chi pratica è il rispetto per gli antenati.
Adachi Masahiro (1780 – 1800) scienziato militare e praticante di arti marziali insegnava ai suoi allievi:
“L’addestramento militare è yang, molto attivo. Il momento che precede la battaglia è l’apice dello yin, calmo e tranquillo. Se sei veramente calmo alla vigilia della battaglia, anche l’espressione del tuo viso non cambia. Non fissare l’avversario, non guardare negli occhi il nemico. Non avanzare come se attraversassi un ponte stretto, ma come se camminassi in una strada ampia. Chi mantiene uno stato mentale normale è un avversario yin. Questa è una tecnica superiore alla quale è difficile opporsi”.
Il maestro: essere la memoria “I cuori delle persone non sono tutti uguali, come del resto
i loro volti. Così come sono diversi i pensieri, lo sono anche le inclinazioni”. (Takayama Kentei 1761 – 1764: consigliere di un signore feudale).
L’approccio del maestro agli allievi è particolare. Come evidenziato nelle parole di Takayama Kentei gli allievi non sono tutti uguali, perciò il maestro deve conoscerli bene e capirne le
69
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA autunno 2014


































































































   67   68   69   70   71