Page 73 - Numero20-2_2017
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stretto rapporto con la natura e siamo chiamati a rispettarne i cicli produttivi. La cucina, infatti, ha sempre accompagnato l’attività produttiva della terra nelle diverse stagioni dell’anno e il lavoro dell’uomo ad essa conseguente.
Nel territorio maceratese, come peraltro in tutte le Marche, i grandi lavori della mietitura o della vendemmia in campagna, la raccolta delle ghiande o delle castagne, come la transumanza
degli animali in montagna o la pesca intensa durante i passaggi del pesce turchino al mare, sono stati sempre sostenuti e festeggiati con pasti particolari, più ricchi e ripetuti nell’arco di quelle lunghe giornate lavorative.
Per quanto riguarda le preparazioni dolci, argomento di questa mia raccolta, anche in una economia povera come quella marchigiana, non sono mai mancate sulla tavola, come ricompensa ad un lavoro duro o come simbolo celebrativo di un evento importante, legato alle attività della campagna, della montagne o del mare.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che la cucina, sia intesa come mezzo di sussistenza, sia elevata ad arte culinaria, si è generata e si è evoluta in stretta osservanza delle feste religiose. Un tempo, ogni ricorrenza della Chiesa aveva le sue ricette di grasso o di magro, cos. come le nozze, i battesimi
o le cresime venivano festeggiati con piatti tradizionali, legati ai prodotti che la terra offriva nella stagione.
Mia nonna sarebbe inorridita nel vedere, sul bancone di un negozio di fornaio, le castagnole comparire il giorno dopo l’Epifania o la preparazione delle fave da morto protrarsi fino all’arrivo del Natale, come invece puntualmente succede ai nostri giorni. Non avrebbe mai ceduto all’eventuale richiesta di un piatto a base di carne in un giorno di vigilia, né avrebbe preparato un cibo troppo calorico o focoso, come lei diceva, per qualcuno che accusasse un qualche disturbo, immagino che avrebbe detto che è contro natura. Un tempo, la cucina aveva le sue regole ferree che nascevano dalla sapiente gestione dei prodotti della terra, dall’attenzione al benessere delle persone per le quali si preparavano i cibi e dall’osservanza delle ricorrenze religiose.
Il benessere, di cui l’Italia e quindi anche le nostre terre marchigiane, hanno incominciato a godere dalla seconda metà del secolo scorso, ha creato molta confusione, ha stravolto le nostre abitudini alimentari e ci ha fatto credere che, in cucina, tutto sia permesso. Non è così, la cucina reclama un grande buonsenso, legami stretti con la terra e le stagioni e una forte affezione alle tradizioni. L’esigenza imperiosa di esprimere la nostra creatività in cucina non ci deve ingannare, non dobbiamo permetterle di farci scivolare verso interpretazioni minimaliste che forse appagano il nostro occhio, ma non sempre il nostro gusto, così come il bisogno di assecondare una qualche moda salutistica non ci deve far abdicare dall’uso di ingredienti che, utilizzati con la saggezza e la parsimonia di un tempo, non saranno mai dannosi al nostro organismo.
Così, a partire dalle mie assidue frequentazioni alla cucina di mia nonna, fin da quando ero proprio bambina, per un processo naturale e per un istinto innato, ho incominciato, senza accorgermene,
ad imparare l’arte del cucinare. Poi, con il passare degli anni, aiutata da mia madre e come pressata da una urgenza interiore, ho incominciato a ricercare qualche ricetta della cucina della mia gente, caduta in disuso col cambiare dei gusti, ma soprattutto delle mode. Nel corso degli anni, ho scovato in vecchi ricettari alcune ricette di altri tempi, altre sono arrivate a me attraverso amici e parenti e debbo dire di aver contagiato molti di loro con questa mia passione per la cucina tradizionale. Non mi stanco mai di interrogare le persone anziane, depositarie di un antico sapere e spesso questo mio lavoro è stato ripagato con qualche ricetta inaspettata che mi ha raggiunto in una versione a me poco nota o del tutto sconosciuta.
Ho studiato tante ricette, le ho messe a confronto, le ho provate, ho cercato di intuirne i cambiamenti subiti col passare del tempo e le ho raccolte, nella
speranza che, prima i miei figli e poi i miei nipoti, ne potessero godere, nella profonda convinzione che avrebbero dato colore e sapore alla loro vita, così come la cucina di mia nonna ha reso più serena e interessante la mia infanzia.
Di conseguenza, con grande piacere e riconoscenza, ho accolto la proposta di raccogliere in un libro queste ricette della mia terra maceratese, ma insieme alle ricette era impossibile non lasciarsi trasportare dai ricordi e dalle storie della mia gente, senza la malinconica nostalgia per un tempo che è passato, ma con l’entusiasmo dettato dalla consapevole certezza che nella memoria risiede la base duratura di ogni forma di conoscenza e che la “dignità della tradizione è il necessario fermento del progresso”. Naturalmente, questa raccolta non ha la pretesa di essere esauriente nei confronti della ricchissima tradizione dolciaria del maceratese, vuole solo essere uno stimolo per tutti coloro che amano cucinare, uomini e donne appassionati di questa arte antica che, per necessità o per piacere, stanno davanti ai fornelli, con dedizione e con il desiderio di servire e rallegrare gli altri attraverso la cucina. Dedico questo mio lavoro soprattutto alle massaie! Questo termine mi ha sempre affascinato, fin da bambina evocava in me l’immagine di due braccia femminili con le maniche arrotolate,
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2017


































































































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