Page 49 - Numero20-2_2017
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primarie» dei cibi e dei farmaci che sono molto simili alle «nature» degli stessi descritti dalla medicina cinese. Mattioli distingue quattro qualità primarie: il freddo con effetto rinfrescante, il caldo con effetto riscaldante, il secco con azione essiccante e l’umido, che possiede ovviamente effetto umidificante. Si parla anche delle «qualità secondarie», che sono assimilabili ai «sapori» della dietetica cinese. L’autore ci spiega che l’astringente e l’acido raddensano, l’acre raccoglie, il piccante taglia, il dolce ammorbidisce, il grasso dissolve, il salato essicca, l’amaro purifica, il pungente dissipa. Anche in tal caso esiste una notevole affinità tra quanto afferma la dietetica cinese e questa classificazione della nostra antica medicina galenica. Possiamo dunque asserire, senza ombra di dubbio, che la conoscenza della dietetica cinese ci permette «paradossalmente» di riprendere
confidenza con una serie di osservazioni che sono state fatte anche in Occidente e poi successivamente messe in disparte prima e quindi dimenticate, diventando così completamente obsolete negli ultimi tre secoli.
Insomma, andando agli estremi confini dell’Oriente, siamo in grado di riscoprire elementi per noi ormai illeggibili della nostra tradizione dell’Occidente che, anche se superati e criticabili da diversi punti di vista, certamente hanno alcuni elementi di verità purtroppo dimenticati che forse può valere la pena di valorizzare.
Lo studio che è stato fatto in Cina a proposito dei «sapori» e degli aromi dei cibi è certamente molto interessante: non esiste nulla di simile nella nostra attuale medicina e in Occidente l’unico ambito in cui si parla dei sapori e degli odori del cibo è quello dell’enologia e, più in generale, della gastronomia. Invece nell’antica medicina cinese a ogni sapore equivalgono una serie di effetti terapeutici, per cui il fatto che un cibo ne sia caratterizzato è indice della sua attività nutritiva nonché terapeutica. Anche in questo campo occorre integrare le antiche conoscenze della medicina cinese con quelle più moderne della biomedicina. Sono convinto che questo settore possa avere interessanti sviluppi in futuro non soltanto nella dietetica, nella fitoterapia e nella scienza della nutrizione, ma anche nella prevenzione, nella terapia e nella diagnostica.
Già ora si parla di alcune applicazioni in campo sanitario del «naso elettronico», che è capace, a partire dall’uso di otto soli recettori, di distinguere moltissimi odori. Per comprendere come questa disciplina possa avere un grande sviluppo, basta pensare che nel genere umano sono state individuate finora alcune centinaia di recettori olfattivi e in certi animali il numero è di gran lunga maggiore. È immaginabile che si possa insegnare al «naso elettronico» a riconoscere l’«odore» di alcune malattie e intervenire conseguentemente. Oppure potrebbe essere applicato ai sistemi di riconoscimento personale: il «naso elettronico» potrebbe individuare la «firma olfattiva» che ognuno di noi lascia e correlarla con una determinata costituzione.
Come più volte sottolineato lungo il testo, l’obiettivo del volume non è quello di creare una dietetica alternativa, ma piuttosto quello di spiegare al medico occidentale la dietetica cinese,
sempre nell’ottica e nella ricerca di possibili sinergie. È mia opinione che la dietetica cinese debba essere adottata in associazione con la dietetica occidentale, dal momento che le due discipline non solo non si escludono a vicenda, ma anzi possono, se utilizzate in coppia, creare un potenziamento dei loro rispettivi effetti.
Come più volte sottolineato lungo il testo, l’obiettivo del volume non è quello di creare una dietetica alternativa, ma piuttosto quello di spiegare al medico occidentale la dietetica cinese, sempre nell’ottica e nella ricerca di possibili sinergie. È mia opinione che la dietetica cinese debba essere adottata in associazione con la dietetica occidentale, dal momento che le due discipline non solo non si escludono a vicenda, ma anzi possono, se utilizzate in coppia, creare un potenziamento dei loro rispettivi effetti.
Nel capitolo 11 del volume si affronta, ad esempio, il trattamento delle obesità: è uno dei settori in cui si possono applicare delle utili sinergie da un uso combinato dei due modelli dietetici. Si può sfruttare la scienza biomedica per studiare la dieta da un punto di vista calorico, dell’indice glicemico, del fabbisogno di macro- e micronutrienti e, contemporaneamente, scegliere, in base a un inquadramento di medicina cinese, la natura degli alimenti in relazione alla costituzione yin o yang del paziente e i sapori in base alla logica dei Cinque Movimenti.
La discussione del trattamento dietetico dei vari quadri sindromici che viene fatta nel volume termina spesso con la presentazione di alcune ricette esemplificative che, nella maggior parte dei casi, sono mutuate dalla nostra tradizione alimentare. Sono esempi di come si possono utilizzare i «nostri» cibi per prevenire o curare le malattie secondo i criteri della dietetica cinese. Infatti, applicare la dietetica cinese in Occidente non significa imparare a mangiare con le bacchette, o stravolgere la nostra alimentazione tradizionale, inserendo per forza cibi che non appartengono alle nostre abitudini. Si può benissimo usare la dietetica cinese continuando a mangiare come mangiavano i nostri genitori o i nostri nonni, ma facendoci contaminare culturalmente nell’impiego delle «sue regole» per la scelta dei «nostri cibi». Le ricette che presentiamo alla fine del volume sono delle esemplificazioni sul modo di fruire della nostra tradizione culinaria alla luce della dietetica cinese.
Quanto affermato finora non esclude tuttavia che la studio della dietetica cinese possa essere l’occasione per una feconda collaborazione e contaminazione culturale.
D’altra parte il pomodoro, il peperone, il mais e la patata, prodotti che oggi sono fondamentali e insostituibili nella nostra gastronomia, erano
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2017


































































































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