Page 23 - Numero20-2_2017
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Il progresso tecnologico e il continuo rinnovarsi e perfezionarsi delle conoscenze hanno fatto accrescere la stratificazione del sapere medico e hanno sostituito molte certezze che si sono dimostrate vane, con nuove certezze ritenute, spesso a torto, definitive che hanno rapidamente reso desuete le conoscenze acquisite.
D’altro canto la medicina rappresenta l’unica scienza che ha per oggetto un soggetto. Ma allora come si possono conciliare queste due realtà? Forse l’unica soluzione è tenere viva la dimensione della lotta e del conflitto anziché tentare a tutti costi di trovare un punto d’incontro.
La massa e la qualità delle conoscenze si sono estese e approfondite a tal punto da non consentirne il critico possesso e da non potere essere contenute dagli strumenti tradizionali di conservazione e diffusione della conoscenza.
Da più parti si sente dire che la medicina è in crisi. La tecnicizzazione (forse eccessiva), i tempi sempre più ridotti per i malati, la burocrazia asfissiante hanno sicuramente intaccato le sue radici ontologiche tanto da invitare a cercare strategie efficaci ed adeguate per arginare i danni. Ma al di là di queste cause che si possono definire esterne, sembra plausibile indicare il motivo di tale crisi nello stesso impianto concettuale della medicina. Posta in un incrocio che ne fa un ibrido di scienza e arte, la natura della medicina, appare, infatti fin dalle prime origini immersa in una situazione difficile: obbedire al telos intrinseco della disciplina per cui è fondamentale trattare il proprio oggetto di studio interamente come oggetto, al fine di garantirne la scientificità e l’attendibilità dei risultati e nel contempo rendersi conto che quello che si ha di fronte non è corpo tra i corpi, non è materia vivente tra le altre, ma un soggetto, una persona, metafora viva che si incarna in un vissuto esistenziale unico e irripetibile, che si manifesta come uomo ferito. D’altro canto la medicina rappresenta l’unica scienza che ha per oggetto un soggetto. Ma allora come si possono conciliare queste due realtà? Forse l’unica soluzione è tenere viva la dimensione della lotta e del conflitto anziché tentare a tutti costi di trovare un punto d’incontro. Nei termini specifici del rapporto medico-paziente questo significa mantenere la tensione dialettica tra il desiderio di sapere sempre di più sulla patologia e il dovere di rispondere alla domanda di aiuto, anche quando non ci sia più alcuna possibilità di guarire come nel caso della fase terminale di malattia. In questa prospettiva l’essenza dell’essere malati è piuttosto uno stato di bisogno e si esprime come richiesta di aiuto. Bellissima e commovente la definizione che da Weizsacker di malato e medico: “Definisco malato colui che mi chiama come medico e in cui come medico riconosco lo stato di bisogno”. Il prius dell’atto medico, dunque, non è quello di astrarre dal contesto e decodificare i dati raccolti attraverso l’esame, né tantomeno immedesimarsi nel vissuto altrui, ma chiedere offrendo disponibilità. La medicina
dovrebbe aprirsi a una concezione che superi il meccanicismo di matrice illuminista e il tecnicismo attraverso l’intersoggettività con lo strumento principe dell’empatia.
Purtroppo, questo paradigma di etica medica resta ancora inascoltato. La medicina dei nostri giorni, fondata sulla dissociazione progressiva della malattia dal malato, tende infatti a definire il malato in funzione della malattia. A dimostrazione di quanto affermato, basti pensare al largo seguito (si potrebbe dire plebiscitario e universale) dell’E.B.M. Ciò significa che il malato è trattato più come oggetto che come soggetto della sua malattia. Insomma una sorta di doppio vincolo contradditorio che irretisce e mortifica il paziente. Con questo nessuno, tuttavia, osa negare la rilevanza della E.B.M. e le conseguenze benefiche che ha avuto nella pratica medica. Essa, infatti è diventata uno strumento di conoscenza importante ma nella misura in cui assolutizza il dato empirico-clinico-osservazionale espone a rischi onerosi. Primo fra tutti la nascita della medicina dei protocolli e delle linee guida, figlia della medicina difensiva: i malati vengono curati in funzione del morbo che li affligge, vengono categorizzati per affezione, omogeneizzati in un unicum indifferenziato che non tiene conto del vissuto, della personalità, del carattere e di tutte le variabili personali che rendono unico e originale il singolo malato. Esiste, pertanto, il “paziente medio” con le sue connotazioni statisticamente più ricorrenti e che lo definiscono. In tal caso, quando la risposta che il medico si aspetta non corrisponde a ciò che nel malato si verifica o a ciò che il medico ha schematizzato e inquadrato nella sua mente, può accadere che il malato venga etichettato come “strano”, la malattia inquadrata come “essenziale” o “idiopatica” o in alcuni casi “psicosomatica” o “stress-related” e che la relazione terapeutica sia bruscamente interrotta togliendo al medico stesso la possibilità di approfondimento, di indagine e di ricerca. Tale metodo appare, inoltre, tanto più ingenuo quanto più si considera che la presunta oggettività ed evidenza con la quale si accoglie il dato statistico è in realtà frutto di una scelta soggettiva o intersoggettiva la quale per sua natura non può avere valore assoluto: se si pensa ai grandi trials si deve sempre ricordare che la metodologia è sempre frutto di una scelta che ha definito dei criteri elaborati da uomini.
E ancora, uno studio metodologicamente corretto ha bisogno di grandi numeri (difficilmente reperibili), se si vogliono soddisfare statisticamente criteri di omogeneità e scientificità. E questo tanto più quanto maggiormente la comparazione riguarda gruppi di pazienti provenienti da diversi paesi. Quindi la statistica, elemento fondante della E.B.M. ne rappresenta paradossalmente uno dei limiti principali.
Negli anni la medicina basata sulle evidenze ha trovato la sua massima espressione e attuazione nel modello biomedico (detto anche modello disease centred o modello tradizionale) di cui la biologia molecolare rappresenta la disciplina scientifica fondante.
Tale modello sostiene che la medicina si debba occupare delle malattie: perciò si parla di modello disease centred, centrato sulla malattia. La
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2017


































































































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