Page 6 - Numero 15 Autunno 2015
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affermare che la ragione è in grado di pervenire alla verità e, sul fondamento della verità che si presenta in forma determinata, egli può erigere il suo sistema filosofico. La filosofia è il dispiegato sistema della verità, perché neanche gli dei potrebbero negare tale dimostrazione.
Non di meno, ciò che vorremmo far osservare è che, nella dimostrazione confutatoria di Aristotele, ripresa con entusiasmo da Severino, la dimostrazione del principio, cioè della verità, emerge a condizione che si ponga la sua pretesa negazione: senza la negazione del principio non emerge la sua verità. Se si tiene conto di ciò e lo si porta alle estreme conseguenze, allora non si potrà non rilevare che, senza la posizione del falso (la negazione del principio, la contraddizione), il vero (il principio, l’incontraddittorio) non potrebbe mai porsi. Ma allora sorge spontanea la domanda: è veramente autentico quel vero che necessita del falso per porsi? E ancora: la verità, che si pone in relazione e in contrapposizione al falso, non è segnata forse da tale relazione e vincolata a ciò che vorrebbe necessariamente escludere? Come si vede, per quanto la ragione voglia porsi a prescindere dalla fede, ogni volta che essa pretende di affermare qualcosa come verità indiscutibile, come verità universale, assoluta, essa si affida al proprio presumere di essere pervenuta alla verità: ogni volta che si pretende di sapere e si va oltre il “so di non sapere” socratico, si crede di sapere, ignorando di credere. Si crede di sapere credendo che non sia la fede a fondare il sapere. Per quanto la ragione intenda porsi in forma autonoma e autosufficiente, esibendo la capacità di pervenire alla verità usando solo le proprie forze, in effetti essa non può non avvalersi del contributo della fede. Non soltanto nel senso che la stessa dimostrazione, che è la forma essenziale del procedere razionale, si affida alla presunta verità delle premesse nonché alla verità della “relazione di conseguenza logica”, la quale è invece intrinsecamente problematica, ma altresì in un senso più profondo, e cioè quello per il quale la ragione, pervenendo alla consapevolezza del proprio limite costitutivo, che coincide con l’impossibilità di configurare la verità in forma determinata o finita, riconosce che alla verità, di per sé innegabile, ci si può solo affidare, confidando che sia la verità stessa a guidare la ricerca che ad essa si volge. Per converso, è da rilevare che la stessa fede, allorché esibisce la pretesa di porsi a prescindere dalla ragione, si trova nella situazione di presupporre se stessa, senza la possibilità di riconoscersi come fede e di definirsi effettivamente tale. Affermando la struttura intrinsecamente razionale della fede, pertanto, ci proponiamo l’intento di mettere in evidenza questo aspetto, che giudichiamo fondamentale: allorché si crede, si intende che ciò in cui si crede sia vero e sia vero in sé, cioè sia vero non perché oggetto della fede. Che è quanto dire: nella fede si intende – e questa è la sua struttura razionale – la verità o, più precisamente, si intende che sia la verità intrinseca dell'oggetto in cui si crede a fondare la fede stessa. Non si intende certo che sia la fede a creare la verità dell'oggetto creduto, poiché, in questo caso, avrebbe ragione Feuerbach ad affermare che Dio è il prodotto della fede degli uomini.
La fondazione della fede, pertanto, non può appartenerle, come se fosse possibile una sua autolegittimazione (sola fides), ma deve valere come il suo fondarsi sulla verità. E l’intenzione di fondarsi sulla verità costituisce il proprium della ragione, per quel tanto che “ragione” è consapevole ricerca della propria essenza più pura, coscienza che vuole sapere e sapersi veramente. La ricerca di verità è ragione, per quel tanto che solo la ragione intende il senso di questa ricerca e può usare consapevolmente l’espressione “verità”, il cui significato, peraltro, non è mai definito, ma sempre da definirsi. È mediante la ragione, inoltre, che si perviene a sapere cosa sia effettivamente “credere” e dunque è possibile affermare di credere veramente, sapendo discernere la vera fede dalla sciocca credulità, la fede eroica dalla fede superstiziosa e credula.
La conclusione che ci sembra di poter trarre dall’intero discorso è la seguente: se la ragione non può non affidarsi alla verità per venire adeguatamente illuminata da essa – e, nell’affidarsi, la ragione confida –, altrettanto la fede non può non intendere – e questo “intendere” è ragione, intenzione razionale di verità – che sia vero il suo oggetto, affinché sia la verità stessa a porla e a legittimarla come fede. Fede e ragione sono così le due ali che protendono lo spirito verso l’unica verità.
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DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA autunno 2015


































































































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