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Che la scelta metodologica sia non solo efficace, ma anche economica, è indiscutibile. Che tale considerazione solo quantitativa possa diventare l’unica è da escludere, giacché è la sua stessa struttura sintattica (quantitativa) che le impone di riferirsi a qualcosa che sintattico non sia.
Lavorare esclusivamente sui segni consente indubbiamente di evitare il grande problema del riferimento ai significati, e dunque evita di doversi misurare con l'indeterminatezza e la non univocità proprie del rapporto semantico. Parimenti, la logica formale e la matematica si configurano come le scienze che consentono ad ogni altra scienza di darsi una veste formalizzata e assiomatizzata. Ciò nondimeno, il riferimento all'ordine dei significati è solo rinviato nel tempo, dal momento che è un problema che non può comunque venire eluso, pena l’insignificanza stessa dei linguaggi e dei sistemi formalizzati.
Che è come dire: l’aspetto qualitativo torna comunque a riproporsi e a riproporsi rendendo problematiche quelle certezze che il riduzionismo quantitativo mostrava di avere acquisito.
Non solo. Il riferimento alla dimensione qualitativa non può venire inteso soltanto come riferimento alla qualità formale, ma anche, e soprattutto, come rinvio alla qualità fondante.
Si evidenziano così cinque diverse stratificazioni del livello concettuale. Nella prima si fa valere la qualità che viene reperita nel livello percettivo- sensibile. Nella seconda la qualità viene vincolata ad altre qualità e si afferma il primato della relazione tra qualità. Nella terza la relazione viene colta nel suo reiterare la qualità e ne consegue la valorizzazione dell’aspetto quantitativo, che coincide con la progressiva riduzione del conoscere a calcolo; nella quarta la considerazione quantitativa viene integrata da una rinnovata considerazione della qualità, così che si comincia a parlare anche di significati, essenziali per dare un senso ai calcoli sintattici: qui si impone l’interpretazione dei fenomeni oltre la loro spiegazione; infine, nella quinta si impone il valore del Significato, che viene richiesto come condizione di intelligibilità dell’intero sistema del conoscere, condizione che non può non emergere oltre l’ordine in cui vige e opera la relazione.
Precisare il senso della necessità del fondamento equivale a rendere ragione del progetto di una fondazione speculativa delle scienze empiriche: il sistema della teoria evita di perdere il significato che le compete solo in virtù della coscienza critica, la quale è intenzione di verità, esigenza di autentico fondamento.
Siamo pervenuti ad un nuovo punto cruciale, che riassume in sé molti dei temi che sono stati trattati nella presente ricerca. Il punto può venire espresso a muovere dalla seguente domanda: per quale ragione il pensiero che oggi gode di considerazione scientifica è solo quello procedurale e non si dà alcuna importanza al pensiero riflessivo e critico? La domanda si pone con particolare forza per la ragione che la concezione naturalista tende ad investire l’uomo in forma sempre più radicale. Intendiamo dire che l’uomo viene oggi pensato con sempre maggiore insistenza come un insieme di processi meccanici (automatici) non solo per quanto concerne la sua
dimensione somatica, ma altresì per la sua dimensione psichica.
A cominciare dalla psicoanalisi di Freud, che ha valorizzato le dinamiche inconsce che sussistono tra Es, Io e Super-Io, dinamiche in gran parte meccaniche proprio perché inconsce, la mente è stata vieppiù marginalizzata. Addirittura negata, nella concezione comportamentista; ridotta ad un insieme di processi di elaborazione di informazioni, come nella concezione cognitivista.
Tali processi elaborano informazione in conformità a regole, cioè in forma meccanica e per questo sono assimilabili ad algoritmi, ad operazioni di calcolo. L’analogia mente/computer si basa proprio su questo assunto e ha goduto di grande considerazione fino a che, più di recente, si è imposta la concezione di un monismo materialistico radicale: esiste un’unica sostanza, la materia, e quindi si dà un unico metodo di ricerca, quello descritto dalle scienza naturali.
Il monismo ontologico, sostento dalla maggioranza degli studiosi che si occupano di mente e di “filosofia della mente”, ha messo capo ad un monismo metodologico, che accetta solo il metodo delle scienze naturali.
Orbene, la nostra opinione è che tanto il monismo ontologico quanto il monismo metodologico necessitano di venire pensati criticamente, perché generano una palese contraddizione. La contraddizione è questa: da un lato, gli stati cerebrali vengono ridotti a stati cerebrali; dall’altro, questa stessa concezione è il prodotto di una scelta operata dalla coscienza, dunque è una scelta libera e non vincolata a procedure meccaniche.
La coscienza, infatti, si trova a scegliere tra almeno due teorie rivali, la teoria riduzionista e la teoria anti-riduzionista. Quel riduzionismo radicale, che non può non sottrarre all’io ogni capacità di decidere liberamente e che finisce per negare l’esistenza stessa di un “io”, risulta smentito dal fatto che affermare la teoria riduzionistica è possibile solo in quanto la si contrappone alla teoria rivale, quella anti- riduzionistica. Sennonché, se tutto dipendesse solo da stati cerebrali, sarebbe una scelta del tutto immotivata, cioè senza ragioni forti che siano in grado di legittimarla.
Se, insomma, gli stati mentali si riducessero effettivamente a stati cerebrali, allora si avrebbe tanto lo stato cerebrale che corrisponde all’opzione (concezione) riduzionistica quanto lo stato cerebrale che corrisponde all’opzione contraria e non si capirebbe più perché scegliere il primo, visto che anche l’altro sussiste come stato cerebrale.
Evidentemente, la scelta è compiuta con un criterio che prende in considerazione aspetti che non possono venire ridotti a stati cerebrali, cioè vengono chiamate in causa ragioni nonché la nozione di “verità” e di “errore”, che non attengono alla dimensione semplicemente materiale e computazionale.
Per riflettere su questo tema, che è fondamentale per intendere la necessità di un recupero della soggettività e della coscienza, cioè del pensiero riflessivo e critico, ci proponiamo ora di individuare le ragioni per le quali il pensiero è stato ridotto solo al suo aspetto procedurale, cioè
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