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intenzione, che anima il conoscere, ne costituisce anche il valore più profondo, l’essenza spirituale che emerge oltre la dimensione materiale.
Il conoscere, infatti, prende avvio da fatti, ma il processo della spiegazione già trascende il semplice ordine fattuale e si slancia verso quella comprensione che intende cogliere il reale come un tutto organico, un tutto così organico, che il suo ideale compimento non è più un tutto di parti, un insieme, secondo la concezione matematicista, ma un Intero.
La ricerca dell’intero costituisce, sempre a nostro giudizio, l’essenza spirituale del processo conoscitivo. E non è, forse, il continuo riferirsi all’Intero il tratto distintivo del “qi”? Scrive, a questo proposito, Sotte: «L’origine del qi e della teoria yin-yang si perde nella notte dei tempi ed è correlata alle prime osservazioni sul reale fatte dagli antichi cinesi che facevano esperienza della loro esistenza che accadeva tra il “cielo” e la “terra” e con il concorso del “cielo” e della “terra”».
Per rendere chiaro il senso della nostra proposta, intendiamo continuare a procedere per gradi, senza saltare alcun passaggio logico. Torniamo, dunque, al punto cui eravamo pervenuti, prima della digressione. Dicevamo questo: inferisco la realtà dell'oggetto a muovere dalla coscienza che ho di esso, cosicché assumerlo come indipendente dalla coscienza risulta non altro che una mera astrazione.
La seconda domanda da rivolgere al realismo naturalistico è la seguente: si può parlare di assolutezza dell'oggetto? In effetti, l'oggetto, proprio in quanto tale, deve porsi determinatamente, deve configurarsi, cioè, come “questo” oggetto, che significa, appunto, “non altro”.
Ma che cosa significa, propriamente, affermare che l’oggetto configura un’identità determinata? Significa non poter prendere dal fatto che essa si pone solo perché si contrappone alla differenza. Ciò che rende determinata l’identità, infatti, altro non è che il limite. Quest’ultimo de-limita l’identità, dunque la de-termina, dunque la circoscrive; ma, nel fare ciò, la vincola a ciò che si pone al di là del limite, cioè alla differenza.
Senza “non-A”, “A” non potrebbe mai configurarsi come “A”, così che, da un certo punto di vista, “A” si pone in una sua apparente indipendenza; ma, da un punto di vista più sostanziale, si pone solo in forza del vincolo a “non-A”. Il concetto di limite dice tutto e solo ciò che dice il concetto di relazione: qualcosa è determinato come “cosa-quale-che” solo in quanto si riferisce (ecco la relazione) a qualcos'altro. Il limitato, insomma, è tale solo in forza del riferimento al limitante, che costituisce la sua condizionante posizionale, ovverosia ciò che consente la sua posizione determinata.
Un oggetto unico, dunque un oggetto assoluto, configura pertanto una contraddizione: dire “oggetto” è dire una molteplicità di oggetti, perché ciascuno si pone nel contrapporsi a tutti gli altri. Solo in forza di questa contrapposizione, ciascun oggetto si determina come quell'oggetto.
La conseguenza di ciò è importantissima: nessun oggetto è veramente in sé, poiché ciascuno è in sé in ragione del suo riferirsi ad altro da sé. Più in
generale, ogni identità (ogni “A”) si pone perché si riferisce negativamente alla differenza (a “non-A”), così che il cosiddetto principio di identità, almeno in ambito formale – che è l’ambito dell’ordinario conoscere –, non può non trasformarsi nel principio di non contraddizione, per il quale una cosa è identica a se stessa in quanto non è un'altra cosa: “A” è “non non-A”.
La differenza, che da un certo punto di vista deve venire estromessa dall'identità – giacché solo così l'identità può venire assunta come indipendente –, da un altro punto di vista risulta essenziale al costituirsi dell'identità medesima, cosicché non può conservare carattere estrinseco, ma deve venire riconosciuta nel suo valore intrinseco e costitutivo: il diverso costituisce l'identico, perché quest'ultimo si pone come tale solo postulando il diverso (anche se lo postula per escluderlo).
La terza domanda che deve venire mossa al realismo ingenuo è questa: si può parlare di oggetto a prescindere dal riferimento al soggetto? La domanda si propone di evidenziare che l'oggetto si connota come oggetto proprio in quanto si riferisce al soggetto o, detto con altre parole, in quanto è oggetto di un (per un) soggetto, così che il riferimento (relazione) torna inesorabilmente a riproporsi.
Si potrebbe pertanto affermare che l'oggetto si struttura in forza di un duplice riferimento: un riferimento orizzontale, che lo vincola a tutti gli altri oggetti (che lo include nella classe degli “oggetti”), e un riferimento verticale, che lo vincola al soggetto e che costituisce la condizione di intelligibilità del suo essere “oggetto”. Icasticamente: il riferimento al soggetto pone l'oggetto come oggetto, il riferimento agli altri oggetti pone ciascun oggetto come quell'oggetto, e non altro.
La relazione soggetto-oggetto evidenzia il valore correlativo dei due termini: l'uno è impensabile senza il riferimento all'altro. Si potrebbe pertanto affermare che ci si trova di fronte ad un'unica relazione, della quale soggetto e oggetto costituiscono due sezioni astratte: il soggetto rappresenta la parte attiva del riferimento, l'oggetto la parte passiva. Altrimenti detto: il soggetto si pone in quanto si riferisce, l'oggetto in quanto viene riferito. Referente il primo, relato il secondo.
Essi – va ribadito – sono comunque correlativi, anche se ordinariamente la loro correlatività non viene considerata. Sono correlativi perché la posizione dell'uno implica (postula) la posizione dell'altro, reciprocamente e scambievolmente. Un oggetto, che pretendesse di prescindere dal riferimento al soggetto, non potrebbe connotarsi come oggetto e un soggetto, che pretendesse di prescindere dal riferimento all'oggetto, non potrebbe connotarsi come soggetto.
Il valore costitutivo del riferimento – intrinseco alla realtà del soggetto e dell'oggetto – ha una enorme rilevanza sia dal punto di vista teoretico- speculativo sia dal punto di vista teorico-operativo.
Rileviamo, a questo proposito, che la consapevolezza della correlatività di soggetto e oggetto non è affatto estranea al sistema teorico delle scienze empiriche. V'è, infatti, una scienza, e precisamente la fisica teorica, che è pervenuta ad esprimere in forma piuttosto chiara tale consapevolezza.
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2014


































































































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