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raccogliere tali informazioni, nonché ad elaborarle e a commisurarle con informazioni precedenti, opportunamente memorizzate.
La percezione, secondo Gibson, Neisser e altri ricercatori, è una vera e propria interazione, volta alla ricerca di informazioni, che si stabilisce tra l'organismo e l'ambiente.
Proprio per le indicazioni fornite, non si può non concludere rilevando il ruolo e il valore che ha la relazione come categoria fondamentale del processo percettivo. Essa non soltanto struttura la percezione, in quanto unità di percipiente e percepito, ma opera nella struttura stessa e del percepito e del percipiente.	Il percepito, infatti, si struttura come unità di una pluralità di segnali o indici, e il percipiente, lungi dal valere come qualcosa di passivo, che subisce l’imporsi del percepito, opera innanzi tutto mediante un’attività di selezione che filtra le informazioni provenienti dal mondo esterno.
Questa selezione è funzione della attenzione, la quale può venire descritta come l'attività volta a valorizzare alcune relazioni con il mondo, lasciando che altre relazioni (dette “relazioni negative”) rimangano sullo sfondo. Non vi sarebbero relazioni positive, sulle quali si incentrano la nostra attenzione e la nostra concentrazione, se non vi fossero relazioni negative, che fungono da sfondo e che consentono l'emergenza delle prime.
Lo stesso oggetto della percezione, o la “cosa” ordinariamente detta, è un insieme di dati, frutto della organizzazione dell'attività sensoriale che consente a complesse sequenze di stimoli di venire percepiti nella forma di dati empirici.
Gli psicologi si sono a lungo interrogati sulla provenienza della nostra capacità di organizzare e strutturare la percezione e hanno convenuto che tale capacità, in gran parte, proviene dall’esperienza. Tuttavia, essi hanno riconosciuto che vi sono delle forme di organizzazione percettiva che risultano così universali e naturali da imporre la necessità di considerarle innate, e non il prodotto dell'esperienza. Secondo gli psicologi della Gestalt, ad esempio, varie tendenze organizzative innate influenzano la visione e si caratterizzano per la qualità, propria delle strutture percettive umane, a organizzare in gruppi insiemi di stimoli isolati, sulla base dei fattori di prossimità (vicinanza), somiglianza, chiusura, continuità e simmetria.
6. Il realismo ingenuo
Abbiamo voluto descrivere, in forma estremamente cursoria, il modo in cui oggi la scienza spiega il processo percettivo, affinché possa risultare in tutta evidenza l’insostenibilità di quel realismo ingenuo, tipico del senso comune, cioè del comune sentire, che assume l’oggetto sentito (percepito) come se avesse una sua identità autonoma da ogni altro oggetto e, inoltre, come se fosse del tutto indipendente dal soggetto che lo percepisce.
Ciò su cui intendiamo ora riflettere è precisamente la concezione del realismo ingenuo, quella, per intenderci, che era emersa dalle parole di Searle. Come potrebbe venire descritta tale concezione?
Per rispondere adeguatamente ad una domanda così impegnativa, facciamo una premessa. Il conoscere che trionfa nell'epoca contemporanea sembra porsi a prescindere dalla domanda di verità. La filosofia speculativa, nel corso degli ultimi secoli, è stata considerata molto spesso un esercizio vuoto, una astrattezza che non ha alcuna rilevanza per una ricerca che progetti di attenersi all’autentica realtà delle cose. Ed è per questa ragione che, anche fra i filosofi di professione, essa ha goduto di sempre minore considerazione. Si potrebbe anzi dire che la filosofia classica è stata innanzi tutto liquidata dagli stessi filosofi, troppo propensi a compiacere un conoscere che ricerca l'utile e il funzionale, piuttosto che il vero.
Se non che, è la stessa scienza che, proprio quando approfondisce la sua indagine e la specifica in un senso sempre più determinato, riscopre le questioni fondamentali del sapere e mostra di rivolgersi ad una filosofia che sappia pienamente svolgere la sua funzione teoretica. Ogni ricerca, infatti, anche se iper-specialistica, è volta alla verità dell'oggetto intorno a cui si dispone e, se dichiara che il proprio fine è l'utile, ciò nondimeno intende che questo sia veramente tale, così che neppure l’utile può venire separato dal vero e l'esigenza di fondazione torna a riproporsi come innegabile: essa costituisce il senso anche di quel conoscere di cui si apprezza soltanto l’aspetto pratico-operativo.
Perché abbiamo fatto questa premessa? Per la ragione che il riferimento alla realtà è null'altro che espressione dell’esigenza di fondazione. Lo è anche se non appare in questa forma, anche se, cioè, il tema della realtà non viene considerato in tutta la sua rilevanza. Stabilire quale sia la vera realtà non sembra più un tema sul quale si deve riflettere perché il realismo ingenuo si è affermato come l’unica concezione possibile. E così la realtà è stata identificata sic et simpliciter con l'esperienza percettivo-sensibile, ossia con i dati ordinari che cadono sotto i nostri sensi.
L’insieme dei fatti ordinari viene assunto, dal senso comune e da un conoscere che non sia sufficientemente problematico, come la realtà autentica, una realtà indiscutibile perché appare indipendente dai punti di vista soggettivi.
In questa concezione, la verità viene connotata come corrispondenza (adaequatio) e precisamente come corrispondenza tra la cosa reale (rei) e il conoscere (et intellectus) che dice di essa. Se il conoscere coglie le cose come esse effettivamente sono, allora viene considerato un conoscere vero; se, invece, le altera, allora viene considerato un conoscere non vero.
In effetti, se il tema viene formulato in questo modo, il problema non emerge: basta osservare l’esperienza e risulterà immediatamente la verità o la falsità di un enunciato. Il problema, tuttavia, c’è e consiste precisamente in questo: per poter confrontare il conoscere con la realtà si dovrebbe poter cogliere la realtà direttamente, immediatamente, a prescindere dal processo conoscitivo. Solo in questo caso diventerebbe possibile il confronto tra il reale, accolto a prescindere dal conoscere, e la descrizione che ne fornisce il conoscere stesso.
La questione fondamentale, dunque, si rivela quella inerente al concetto di realtà. Essa è questione fondamentale non solo per la ricerca
DIALOGHIDIMEDICINAINTEGRATA estate 2014


































































































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