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poggia sulla sua struttura relazionale, cioè sul fatto che il conoscere è una relazione – tra soggetto e oggetto – che si moltiplica in una serie infinita di relazioni, quelle che si pongono tra oggetti e quelle che si pongono nella struttura intrinseca di ciascuno.
Non a caso, già Pitagora considerava il numero la forma suprema di conoscenza. Del resto, la progressiva valorizzazione dell’aspetto quantitativo della relazione ha consentito di rendere le conoscenze sempre più precise, perché esse valgono come calcoli di rapporti, espressi mediante linguaggi simbolici o formalizzati.
Per tali ragioni riteniamo sia opportuno insistere su questo tema, onde specificare, da un lato, la genesi della matematizzazione delle conoscenze; dall’altro, la necessità di evitare l’assolutizzazione di questa forma di conoscenza.
Dicevamo, dunque, che il numero vale come la forma quantitativa di dire la qualità, forma che sorge dalla assimilazione dei diversi e dalla riduzione della differenza a differenza di grado, misurabile ed esprimibile in cifre. Ogni numero, quindi, indica un rapporto, e cioè il “quanto” una cosa “sta” ad un’altra. Per contrario, se si intende conoscere mantenendo la differenza nella sua valenza qualitativa, allora i termini, per quanto relati, devono risultare irriducibili, così che la forma in grado di esprimere in modo esemplare tale irriducibilità dei termini non può non essere la parola.
Potremmo dire che, se il numero indica quantitativamente la qualità, viceversa la parola indica qualitativamente la quantità, e precisamente la quantità “unitaria” o “singola” (ovviamente se la parola è al singolare).
Il punto sul quale desideriamo richiamare l’attenzione del lettore è il seguente: il vincolo reciproco di qualità e quantità sorge a muovere dalla figura fondamentale della qualità, cioè dalla identità, e a muovere dalla figura fondamentale della quantità, cioè dalla unità.
Ciò significa che l’identità di cui qui si parla è l’identità determinata. Si ricorderà, infatti, che il discorso inerente alla reciprocità di qualità e quantità ha preso le mosse proprio dalla identità formale, che, essendo identità determinata, è posta in essere dalla relazione, così che è un’identità che si pone soltanto in forza del riferimento alla differenza. Ebbene, questo essere sé in forza dell’altro è ciò che caratterizza essenzialmente la relazione e le determinazioni che essa pone in essere.
Di contro, l’identità (qualità) metafisica esprime l’esigenza di un’emergenza del qualitativo oltre la reciprocità al quantitativo, oltre la relazione, oltre la forma.
A livello della considerazione ordinaria, invece, non è possibile ricercare un’emergenza del qualitativo, dal momento che ogni qualità, che è qualità determinata, può venire espressa in forma quantitativa e, per converso, ogni quantità vale, essa stessa, come una qualità. Con questa conseguenza: nell’ordine posto in essere dalla relazione la qualità non emerge sulla quantità, così che anche la qualità fondamentale, cioè la verità, non può emergere oltre il rapporto con l’altro da sé, con il falso, e ciò è catastrofico sia dal punto di vista teoretico sia dal punto di vista etico.
Non è un caso che la logica formale sia una logica che poggia, almeno nella sua forma classica, su due valori, il vero e il falso, così che è dalla loro contrapposizione che origina ogni calcolo logico. Ebbene, la coessenzialità di vero e falso – o, per dirla con altre parole, di positivo (autenticamente posto, stante che il “posto” è positum) e negativo – costituisce un problema speculativo molto rilevante: se il falso è essenziale al vero, allora né il falso è veramente falso, né il vero è autenticamente tale. La questione, che sembra riguardare solo la speculazione pura, è invece fondamentale per ogni ricerca.
Basti pensare a come essa viene tradotta nell’ambito proprio della “scienza della condotta”, cioè dell’etica, dove viene espressa come coessenzialità di bene e male. La conclusione che è stata tratta da tale premessa non poteva che essere quella, arcinota, del relativismo contemporaneo: così come ogni verità è solo relativa, ossia è tale solo nell’ambito che la riconosce, altrettanto deve dirsi per il bene, il quale risulta comunque vincolato al male e, dunque, subordinato ad esso.
Abbiamo cercato di evidenziare come la necessità di un’emergenza del qualitativo sia innegabile; tale necessità dovrà venire specificata come emergenza del vero, del positivo, dell’incontraddittorio. L’emergenza, infatti, non è solo innegabile, perché dimostrata incontrovertibilmente, ma è altresì il bene fondamentale, poiché è l’unico superamento autentico di quella concezione nichilista che impedisce si possa pervenire ad una autentica salus, la quale indica primariamente salvezza: salvezza dal male, che implica anche salvezza dalla malattia.
14. La progressiva valorizzazione dell'aspetto quantitativo
Volendo sintetizzare quanto è stato fin qui affermato, si potrebbe dire che, dopo aver individuato la struttura del conoscere come relazione soggetto-oggetto, si sono individuate le forme (relazioni) fondamentali mediante le quali si pone in essere la costituzione dell'oggetto di conoscenza.
Negli ultimi due paragrafi abbiamo tematizzato la differenza che intercorre tra l'identità (qualità) fondante, richiesta innegabilmente come condizione di possibilità degli oggetti, e le qualità determinate, che coincidono appunto con tali forme oggettuali e che, proprio in conseguenza del loro venire segnate dal limite, valgono come identità incompiute, come identità che, per porsi, necessitano di riferirsi alla differenza.
La consapevolezza che la relazione entra nella costituzione intrinseca dell'identità ha una rilevanza notevolissima, sia sul piano teoretico che teorico. A livello teorico, lo abbiamo visto, la prima conseguenza che viene tratta è questa: conoscere la cosa (la determinazione, l’oggetto) significa cogliere i nessi che la vincolano alle altre cose (interne o esterne che siano), in modo tale che si è perduta la concezione “essenzialista” e si è andato affermando un conoscere che è, principalmente, un confrontare le cose tra di loro.
Il confronto, del resto – e questa può venire considerata la seconda conseguenza –, si esprime
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